Scritti al buio

Ennio, il documentario su Morricone coinvolgente e musicalissimo

di Fabio Ferzetti   14 febbraio 2022

  • linkedintwitterfacebook

Nel trascinante film di Tornatore la storia del grande compositore e delle sue invenzioni

Il più grande coregista del Novecento è stato Ennio Morricone. Lo abbiamo sempre sospettato, ora ne siamo certi. Anche se forse non è mai stato su un set, il musicista più prolifico e popolare della storia del cinema (oltre 500 titoli) non si limitava a comporre ma trasformava i film a cui collaborava. E prima dei film le canzoni che arrangiava negli anni Sessanta, una lunga serie di evergreen, da Gianni Morandi a Edoardo Vianello, da Paul Anka a Miranda Martino, dal ”Barattolo” a “Sapore di mare”. Successi strepitosi baciati ogni volta da un timbro, un’invenzione, un effetto che rendeva il tutto unico. Magari “suonando” una macchina da scrivere o scrivendo e riscrivendo l’attacco folgorante di “In ginocchio da te” perché Migliacci della Rca non era mai soddisfatto.

Lo racconta con contagioso entusiasmo l’affettuoso, minuzioso, trascinante, musicalissimo documentario di Tornatore, un ritratto d’artista che non dimentica mai l’uomo e con Morricone resuscita tutta un’epoca, un’Italia, uno stile di vita e di lavoro in cui vertiginosamente si mescolano l’alto e il basso, il contrappunto e la melodia, Stravinskij e il Quartetto Cetra, la musica atonale e la capacità di trasferire la sua lezione in quello che ancora non si chiamava pop, senza mai perdere rigore o inventiva. Anche se il cuore del film è nella prima parte, la più intima e commossa, che ripercorre la severa formazione del musicista romano al Conservatorio sotto Goffredo Petrassi. Anni duri, col giovane Ennio che «nel periodo dei tedeschi e poi degli americani» suona nei ristoranti per mangiare (soldi neanche l’ombra) o per i grandi della rivista, Totò, Macario, Dapporto, Rascel, Wanda Osiris. Iniziando poi a scrivere per il cinema sotto pseudonimo, timorosissimo. Fino a quando non gli telefona un ex-compagno di scuola, tal Sergio Leone, e nasce la leggenda. Fitta di trame e sottotrame memorabili come le sue musiche.

Perché da Petri a Pontecorvo, da Argento a Verdone, da Tarantino a Malick (che batte a scacchi al telefono, senza neanche vedere la scacchiera), Morricone non smette di ricordare, di stupire e stupirsi, di mettersi pudicamente a nudo con afflato quasi mistico. Sintetizza Faenza: «Anche Petrassi ha fatto colonne sonore, ma non ha mai pensato che quella da film fosse musica. Morricone invece sì».

In sala dal 17 febbraio