Il libro

Raul Gardini è stato il simbolo di quell’era del “maschio” spazzata via dalla Storia

di Elena Stancanelli   21 febbraio 2022

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Il successo e la caduta, l’epica del Moro di Venezia, la vicenda Enimont. Il rapporto con la politica, lo strappo con la famiglia, fino al suicidio. Nel romanzo “Il tuffatore” l’epopea dell’imprenditore e l’affresco di una generazione scomparsa

Raul Gardini ha più o meno l’età di mio padre. È stata questa una delle ragioni per cui ho deciso di raccontare la sua storia, ma soprattutto il grimaldello per entrarci dentro. Volevo raccontare com’erano quegli uomini. Sono andata a cercare le foto di quando ero bambina. Ne ho trovata una in cui io e mio padre siamo ai giardinetti (non so se si tratta di lessico familiare o di un toscanismo, ma noi dicevamo così, giardinetti). Io ho quattro o cinque anni e lui, vicino a me, piegato sulle ginocchia spinge la macchinina di plastica dentro la quale io pedalo. Mio padre ha poco più di trent’anni, e indossa la giacca e la cravatta. E non si tratta di un’occasione speciale. Mio padre vestiva così, sempre o quasi, perché era il suo modo di essere decente. Il modo in cui lui, e non solo lui, pensava che un uomo dovesse vestire per mostrare rispetto verso sua moglie, i colleghi di lavoro, il mondo e anche la figlia di quattro anni che pedala dentro una macchinina.

COPERTINA

Sono partita da lì, da quell’immagine. E in questo modo, piano piano, ho capito che volevo raccontare non solo la vicenda biografica dell’imprenditore Raul Gardini, l’enorme successo e la caduta, l’epica del Moro di Venezia, Enimont, lo strappo con la famiglia fino al suicidio, il rapporto con la politica, la fine della prima Repubblica… Tutte cose che già mi sembravano esemplari per la storia del nostro paese. Ma anche l’idea di uomo che avevo l’impressione Gardini incarnasse alla perfezione. Più studiavo e più avevo voglia di raccontare il ruolo di Gardini nel nostro immaginario, o almeno nel mio, anche dal punto di vista antropologico.

 

Gli uomini come mio padre e come Raul Gardini erano adulti. Erano obbligati a crescere, non avrebbero potuto ottenere quello che desideravano senza smettere di essere dei ragazzini. La linea d’ombra della loro giovinezza era situata intorno ai vent’anni, quando si sposavano o diventavano padri, quando iniziavano a lavorare.

 

Da quel momento indossavano abiti da adulti e non li toglievano più tranne quando facevano sport. Anche soltanto andarsene in giro con una maglietta sembrava loro ridicolo, figuriamoci una maglietta con una scritta sopra, per non parlare di tutto il resto. Parlo degli abiti, perché è più evidente. Ma è lo stesso per il cibo, per le vacanze, per i passatempo. Tutto quello che facevano era adulto, serio, affidabile.

 

Dovevano bere, tanto, ma senza ubriacarsi. Mostrare di essere sballati, rendersi ridicoli ondeggiando per strada, parlare con le voci impastate, era tutti atteggiamenti impensabile. L’uomo non doveva mostrare alcuna debolezza. Nel 1985, quando Gardini compra Montedison, in Italia imperversa lo spot pubblicitario di un profumo il cui slogan è “per l’uomo che non deve chiedere mai”. Che è esattamente il contrario di quello che adesso, a distanza di meno di quarant’anni, un uomo viene chiamato a fare. Per evitare di incorrere in equivoci, l’uomo, adesso, deve chiedere sempre: agire solo dopo aver ricevuto il consenso, un consenso che deve essere chiaro e ribadito.

 

Era, quella di Raul Gardini, l’epoca d’oro della mascolinità. Quando nessuno osava mettere in discussione la protervia con cui si aggiudicavano ogni cosa. Non sto parlando di maschilismo. Gardini ha chiamato una giovane donna, Katia Bastioli, a dirigere il centro di ricerca di Montedison, non aveva pregiudizi, non era maschilista. Ma la sua idea di mondo era quella ereditata da suo padre, e da suo nonno: un uomo al centro che tiene le redini di tutto. Qualcuno di cui fidarsi, a cui affidarsi. Il capitano di una nave, il capo famiglia, il dirigente d’azienda che si prende la responsabilità. L’eroe, non il mediatore, Aiace non Ulisse.

 

Quel tipo di maschio non esiste più, si è estinto, come i dinosauri. È scomparsa proprio la forma, la matrice. È stato spazzato via dalla Storia. Le donne, acquisita consapevolezza e il potere per imporla, hanno tirato fuori la rabbia verso le prevaricazioni e le violenze subite. Hanno rifiutato quella mascolinità che avevano subìto, si sono ribellate. Certo, c’è stata della giustizia sommaria, si sono messi insieme i buoni con i cattivi, ovviamente non tutti i maschi vissuti nell’era del patriarcato erano sessisti, stupratori, molestatori. Ma si è trattato di una rivoluzione e le rivoluzioni non vanno per il sottile.

 

La cosa incredibile è che quando si è cominciato a metterlo in discussione, quel modello di maschio ha smesso di colpo di funzionare. Il maschio di cui stiamo parlando se la cavava alla perfezione nella società che aveva progettato modellandola sui suoi bisogni, dentro matrimoni che servivano a favorire la sua carriera, dividendo la spazio con femmine disposte a sopportare e a non esigere troppo. Quando le condizioni sono cambiate, non ha trovato più aria da respirare, cibo per nutrirsi. Come i dinosauri dopo il meteorite. E come i dinosauri per sopravvivere ha dovuto evolversi, trasformarsi, imparare a volare.

 

Chi non si è evoluto ha cominciato a scomporsi, deformarsi, trasformandosi in una versione parodica, grottesca di quello che era. Un esempio fin troppo facile da fare è Silvio Berlusconi, più o meno coetaneo di Gardini e anche di mio padre. Pensate al modo in cui ha cercato di tenere in vita quella mascolinità, ottenendo l’unico risultato di renderla ridicola, grottesca appunto. Le barzellette, le nipoti di Mubarak, il bunga bunga. Si può dire che Silvio Berlusconi sia la rappresentazione plastica di quell’estinzione. È estinto e non lo sa, è un fantasma del passato che non sa più quali sono le regole in un mondo che sotto i suoi occhi si è trasformato.

 

Ma Raul Gardini è morto prima che questo accadesse, il 23 luglio 1993. Prima che i maschi adulti scomparissero, si estinguessero, fossero considerati vecchi arnesi della prima repubblica.La prima connessione internet in Italia era avvenuta sette anni prima, il 30 aprile 1986, dall’università di Pisa. A Pisa c’era un gruppo di ricerca fra i più avanzati in Europa, in contatto con Robert Kahn e Vinton Cerf, gli scienziati che sarebbero stati considerati gli inventori di internet. A Pisa, con l’aiuto del ministero della Difesa americano, arrivarono quindi le apparecchiature per far girare una tecnologia che si chiamava Butterfly Gateway. Con Butterfly, attraverso la rete satellitare atlantica Satnet, si fece il primo collegamento internet d’Europa. Alcuni anni dopo la rete è entrata nelle vite di tutti noi, modificandole per sempre. Dopo la morte di Gardini.

 

La rete non è un mezzo, non è il modo in cui comunichiamo. La rete è il nuovo mondo che abitiamo. Ed è successo in pochissimo tempo. Ci siamo infilati tutti là dentro perché è comoda, veloce e soprattutto è divertente. Non c’è confronto con la vita di prima. La vita dentro la rete non ha tempi morti, non contempla la noia. È un continuo rimbalzare da una parte all’altra, è piena di gente da incontrare. Sì, certo, non ci sono i corpi. Sì, certo non sono incontri reali ma virtuali. Ma davvero pensiamo che a questo non riusciremo a porre rimedio? In dieci anni abbiamo inventato e abitato un nuovo mondo, figuriamoci che problema sarà renderlo abitabile, superare i limiti.

 

Dunque in questo nuovo mondo, dove chi non aveva voce l’ha trovata le regole sono cambiate. Certo, ci sono state forzature, c’è stata una pericolosa cessione di informazioni private gigantesca, ma stiamo parlando del prototipo del più grande esperimento sociale che la storia umana abbia mai attraversato! L’esperienza ha smesso di essere utile, la giovinezza era l’unico requisito richiesto. Velocità e freschezza, il mondo inventato dai ragazzini. Chissà cosa ne avrebbe detto Elsa Morante, di questa nuova utopia. Baricco lo chiama il “game”, e infatti è un mondo a forma di gioco. Dove gli adulti non servono a niente.

 

Nel mondo nuovo in cui siamo, nessuno ha più paura di rendersi ridicolo, perché il senso del ridicolo non esiste più. Siamo diventati tutti ragazzini, ma gli uomini un po’ di più. Perché l’alternativa a quella loro mascolinità potente, vincitrice, a quel potere che hanno dovuto dividere dopo millenni con le donne, non l’hanno ancora trovata. È troppo presto, e nel frattempo, per schivare i colpi, si sono mimetizzati fingendo di essere creature innocue e giocose.

 

Raul Gardini è stato molte cose. Un imprenditore di successo, un uomo indagato dalla procura di Milano, un marito, un padre, un velista e poi ancora un pirata, un contadino, un visionario come veniva di volta in volta chiamato. Un tuffatore provetto. Un uomo che ha vissuto con la spavalderia di chi non immaginava neanche lontanamente che il suo potere secolare potesse essere messo in discussione. Il suo potere di maschio ma anche il suo potere di essere umano. È morto prima dell’avvento di internet e prima che si cominciasse a parlare di conto alla rovescia della Terra. Quando ancora l’umanità non percepiva se stessa come una minaccia, ma come un’opportunità. All’epoca si pensava ancora a far diventare il mondo un posto migliore grazie alla nostra immaginazione e alla nostra intelligenza. E Gardini era uno così, un maschio, adulto, che aveva l’ambizione di lasciarsi dietro un mondo migliore di quello che aveva trovato. Ecco, alla fine “Il tuffatore” parla proprio di questo, che poi era il Novecento.