Sanremo 2022, la seconda serata e il razzismo spiegato al mio Ariston

Il monologo di Lorena Cesarini e l’intervento scorrettissimo di Checco Zalone contro l’omotransfobia: e all’improvviso il Festival diventa un manuale educativo

Tra canottiere e grandi dive, all’improvviso Sanremo si trasforma in Dipartimento Scuola Educazione. Erano i tempi in cui in Rai c’erano solo tre canali e i programmi educativi, quelli un po’ imbolsiti e noiosi che facevano divulgazione culturale zompettando di qua e di là per sobillare il popolo all’epoca catodico al benessere del sapere, erano a cura del DSE. Praticamente la seconda serata del Festival.

Lorena Cesarini è impacciata, trema, si commuove, non è disinvolta, non ha studiato, o forse sì ma l’emozione ha preso il sopravvento. E dice con la sua insicurezza che dopo l'annuncio di Amadeus della sua partecipazione al festival è stata coperta di insulti perché nera. «Fino ad oggi a scuola, all'università, al lavoro o sul tram nessuno aveva mai sentito l'urgenza di dirmelo, invece appena Ama dà questa notizia splendida per me certe persone hanno sentito proprio questa urgenza: evidentemente per qualcuno il colore della pelle è un problema».

E parla, con il libro di Tahar Ben Jelloun “Il razzismo spigato a mia figlia” stretto tra le mani. Poteva dirlo meglio? Forse. Poteva essere più efficace? No. Perché nel giorno in cui la Lega annuncia un’interrogazione in commissione vigilanza l’oltraggio del Festival  “alla religione cattolica, ideologia comunista e ammiccamento alle droghe”, le parole di quella donna sottile arrivano dritte in faccia a molti, che di quelle parole si sono sporcati parecchio.

E fa uno strano effetto sentirle proprio dal palco più guardato d’Italia, perché non c’è un copione leggero imparato a memoria che la sorregge, c’è solo un macigno di verità che srotolato così sembra banale. Come il male che racconta, e la citazione è fortemente voluta.

Un po’ come l’arrivo di Checco Zalone, che prima di sciogliersi nel capolavoro trap di Poco ricco (sino a ora miglior canzone del festival) si butta con la bocca un po’ asciutta e quel filo di buffa tensione da esordiente in un doppio tuffo carpiato contro l’omotransfobia. «Io sarei un diverso, che ipocrisia nell’universo. Di me si sa che io sono metà e metà, si è vero, ma tu sei un co*lione intero» canta e no, non fa sbellicare dalle risate. Però lo dice davanti a milioni di persone, che perlopiù si offendono, come Robert De Niro davanti allo specchio: Che dici a me? Eh sì dice proprio a te che disprezzi l’inclusione, che vai avanti a forza di stereotipi stantii, che affossi le leggi e ti spelli le mani per applaudire in Aula o per sbellicarti con Pio e Amedeo. Poteva essere più divertente? Forse. Ma si sa che la cultura a volte non fa tanto ridere. Come il Dse.

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