Amedeo Umberto Rita Sebastiani detto Amadeus ha iniziato alla radio negli anni Ottanta, ha praticamente inventato il preserale, cercato di dare dignità al binocolone ogni santa sera e ha portato a casa tre Festival consecutivi di cui uno con Bugo che scompare, uno senza pubblico in un mondo ostaggio della pandemia e il terzo più visto degli ultimi mila anni. Dopodiché arriva Drusilla, lo appella con «Senta coso» e in un attimo il sogno da numero uno si infrange fragorosamente. Basta un nulla e Ama precipita nel fatidico passo indietro trasformandosi al suo cospetto in una valletta qualsiasi. Un’ingiustizia, avrebbe detto Calimero.
Ma la dura legge del palco, la meritocrazia, la santità o come altro si voglia definire quel dono assurdo che ti fa muovere con un riflettore sulla testa racconta una storia semplice: se sei diverse spanne sopra vinci a mani basse.
Così la divina scende le scale senza guardare «Perché basta contare i gradini», si abbandona ai rutilanti cambi d'abito, fa le facce, gli occhiolini, presenta con l'intonazione di chi capisce davvero quello che sta leggendo, si emoziona con i suoi preferiti, guarda malissimo tutti gli altri, si lascia scappare un'imprecazione, poggia la mano sul fianco, usa i congiuntivi, ha la battuta nata pronta e gioca senza colpo ferire con Iva Zanicchi, “quel qualcosa che non ho” e la cultura. Insomma tiene in tasca tutto quello che deve fare il bravo presentatore ma molto meglio del titolare che ha l'etichetta appuntata sul petto e vive di gobbo. E fa un po' tenerezza, Amadeus, di fronte a uno scippo del trono così plateale, dopo tutto quello che avevamo speso per farlo studiare.
Perché è evidente che Drusilla dovrebbe condurre in solitaria tutta la serata ma anche un intero palinsesto, senza fronzoli, armata solo del mestiere innato, scostandosi semplicemente il ciuffo platino dalla fronte con noncuranza e regalando doppi salti mortali travestendosi da uomo «per quelli che avevano paura di un uomo travestito» in un altissimo gioco teatrale. Ma Amadeus ha il copione dalla sua, il monologo della signora fiorentina viene relegato al cantar del gallo, e la sua performance resta lì, come da contratto, nei panni della donna del Festival che legge il cartoncino. E al massimo si fa togliere i guanti. Da coso.