Il regista Bassetti: «Facendo questo film ho imparato a smettere di presumere cosa sono un uomo o una donna»

Nel 2021 il Festival di Berlino abolì i premi per il miglior attore e la miglior attrice, limitandosi a distinguere fra protagonista e non protagonista, una scelta su cui ancor oggi si discute. Quest’anno (10-20 febbraio), quasi a rincarare la dose, apre con un film di François Ozon che cambia sesso a un classico di Fassbinder, trasformando “Le lacrime amare di Petra Von Kant” nel più conciso e maschile “Peter Von Kant”. Ma soprattutto, accanto al molto atteso “Leonora addio” di Paolo Taviani in Concorso, presenta nella sezione Panorama tre altri titoli italiani che sembrano fatti apposta per ravvivare le discussioni sempre incandescenti sul gender.

Tra i tre film il più schierato è “Nel mio nome” di Nicolò Bassetti, documentario sul percorso di transizione di quattro giovani da un’identità femminile a quella maschile; un exploit così insolito, non solo per l’Italia, da essersi guadagnato il sostegno produttivo del trans forse più influente del cinema mondiale, Elliot Page, già noto come Elaine Page quando interpretò la protagonista in “Juno” di Jason Reitman.

Il secondo è “Calcinculo” di Chiara Bellosi, storia d’amore e di crescita fra una 15enne extralarge in fuga dalla famiglia e un giovane giostraio travestito, Armando detto Amanda (Andrea Carpenzano). «Una fiaba nera come il fitto della foresta, ma col sentiero seminato di paillettes», dice la regista, consapevole che «i giovani oggi hanno molti meno schemi di noi, non sono prigionieri di gabbie e definizioni ma accolgono senza giudizi ogni sorta di identità, dimostrando una libertà su cui le nostre leggi sono in enorme ritardo».  

Il terzo, in sala dal 17 febbraio, è “Una femmina” di Francesco Costabile, regista «non binario», un’aspra storia di rivolta contro la ’ndrangheta ispirata al libro di Lirio Abbate “Fimmine ribelli”, nonché esordio nel cinema di finzione dopo un bel documentario sul giovane Pasolini. Una scelta non casuale, anche se ad affidargli il film è stato un collega, già suo compagno di corso al Centro Sperimentale e qui produttore, Edoardo De Angelis, certo che «la sensibilità di Costabile, uomo di Calabria che per tutta la vita ha lottato per affermare la sua identità, sia per così dire limitrofa al dolore delle donne che racconta».

Presi uno alla volta sono tre film molto diversi. Messi uno accanto all’altro dal direttore della Berlinale, l’italiano Carlo Chatrian, sono destinati a dare un’idea del nostro paese decisamente meno immobile di quella offerta dalle elezioni al Quirinale.

Eternamente trascurata se non rimossa dalla nostra cattolicissima gerontocrazia, la questione del gender, con tutto ciò che le ruota intorno (scuola, famiglia, diritti), è infatti tra le più urgenti e difficili da maneggiare. Anche per banali ragioni generazionali. Le differenze di sensibilità e di linguaggio in materia sono enormi. Per superarle ci vuole un lavoro lungo e paziente. Come quello che ha fatto Bassetti, motivato anche da ragioni personali,

Nicolò Bassetti, paesaggista e già autore del libro che ha ispirato il “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi. Quando aveva 22 anni suo figlio, che oggi si chiama Matteo, gli scrisse una lunga mail dall’Olanda annunciando che stava per intraprendere la transizione di genere. «Era notte e ricordo che non chiusi più occhio. La lettera era bellissima, ironica, piena di consapevolezza. Alternando maschile e femminile mi diceva fidati di me, non avere paura, sostienimi. Capii che rassicurandomi mi indicava una strada, uno sguardo diverso sul mondo. Fu una scoperta incredibile. Pensai che il tema meritava un film ma temevo che mi avrebbe mandato a quel paese. Invece dal dialogo è nata la struttura dello script».

Nel film di Bassetti il figlio non c’è. Ci sono quattro giovani bolognesi conosciuti attraverso di lui, quattro amici straripanti di intelligenza e vitalità, membri di una comunità trans che il regista ha frequentato per mesi prima di girare. «Sono riuscito perché non frugavo nelle loro esistenze, ero in ascolto, non predatorio. Il film si è nutrito della loro generosità e capacità di mettersi in gioco», seguendo il loro viaggio per anni. Come dice il podcast di uno dei protagonisti, «una transizione di genere è uno degli atti sovversivi più incruenti che esistano. Per questo dobbiamo riempire il mondo di narrazioni singolari, anche pazzamente divergenti una dall’altra, e pazienza se si perde il rigore classificatorio necessario a diagnosi e deliberazioni…».

Uno dei problemi principali dei transgender è infatti questo: la necessità e insieme l’impossibilità di sfuggire a ogni etichetta. Come recita una sentenza del tribunale di Milano del 2017 in apertura del film: «Nel nostro ordinamento giuridico non c’è spazio per un terzo genere dato dalla presenza di caratteri primari e secondari maschili e femminili. Neppure dilatando al massimo la nozione di persona umana».  Il cammino sarà lungo e diverso per ognuno di loro, come “Nel mio nome” racconta con chiarezza esemplare.

«Il loro è un combattimento quotidiano contro un sistema binario che è parodia didascalica delle performance del maschile e del femminile», riprende Bassetti: «Facendo questo documentario ho imparato a smettere di presumere cosa sono un uomo o una donna, ho capito che è inutile e paradossale catalogare gli esseri umani. Identità e orientamento sessuale sono due cose diverse, viene fuori anche nel film». Alcuni di questi personaggi in transizione amano le donne. Altri gli uomini. Ma non è questo che conta. «La persona trans è l’unica persona al mondo che per essere riconosciuta deve prima negare se stesso conformandosi allo schema della legge», spiega Bassetti: «Non puoi essere chi vuoi ma chi è previsto tu sia. Per cambiare carta d’identità, per poter fare una mastectomia, non puoi dire lo faccio perché voglio chiamarmi Tommaso e non più Luciana, al giudice non va bene. Quindi devi patologizzarti, esibire un disagio». Un patto inaccettabile, ma anche una sfida irresistibile per un narratore: «Sono convinto che non ci sia tema più rivoluzionario, oggi. Per questo ho voluto provare a raccontarlo».

LEGGI ANCHE

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app