Testi filosofici. Saggi sul piacere. Manifesti politici. Storie universali del desiderio. L’eros invade, a sorpresa, gli scaffali delle librerie e le piattaforme digitali

Fica. Crea ancora scandalo nel 2022 su L’Espresso iniziare un articolo con questa parola? «Amo questa parola. Non smetterei mai di dirla. Non riesco a smettere di pronunciarla. All’aeroporto vi sentite un po’ irritati? Basta dire FICA e cambia tutto. Fa stare bene. Provateci. Avanti. Forza!». Era il 1996 quando Eve Ensler con “I monologhi della vagina”, sconvolse il pubblico dell’off-off-Brodway pronunciando la parola proibita “cunt”, in uno spettacolo destinato a diventare un cult ed essere messo in scena in tutto il mondo.

 

Eppure nella letteratura si trova da sempre. C’è in Aristofane, ne “I racconti di Canterbury”, nelle ballate dell’epoca di Shakespeare, in Dante e Boccaccio, e addirittura Pietro Aretino, nel ’500, ammoniva i colleghi poeti che non usavano questa parola: «Parlate in modo chiaro, e dite scopare, fica e cazzo, altrimenti nessuno vi capirà». Se prendiamo autori contemporanei come Irvine Welsh in “Trainspotting” la parola in questione compare 731 volte, ridotte a 19 nella versione cinematografica, per motivi di tempo.

 

Può ancora una parola destare scandalo? Forse no. Secondo Sigmund Freud le parole che destavano scandalo raccontavano un lato della società frustrato. «Le emozioni inespresse non muoiono. Sono sepolte vive e se non le esprimi usciranno più avanti in un modo peggiore», scriveva in “Tre saggi sulla teoria della sessualità”.

Negli ultimi mesi sono usciti moltissimi saggi sul sesso. È il ritorno di una tendenza che è destinata, come un fiume carsico, a riproporsi ciclicamente, ogni volta in maniera diversa. «L’editoria carpisce le tendenze della società e queste vengono sempre dai giovani», spiega Alberto Rollo, storico editor e traduttore, oggi consulente per Mondadori e autore Einaudi. «Siamo in mezzo a un cambiamento di costume legato alla sessualità ed è naturale che questo entri nella discussione pubblica tramite la pubblicazione di saggi che esaminano il fenomeno da diversi punti di vista. I giovani d’oggi sono meno moralisti di quanto lo era la generazione precedente, e affrontano questi argomenti con libertà. Si è fatta largo per esempio il dibattito sul queer e la fluidità di genere, e l’editoria risponde alla loro necessità di confronto».

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A dare il via alla riscoperta del sesso in editoria è stato il libro “Club godo” (Ippocampo) scritto dalla francese Jüne Plã. Un vero e proprio manuale di educazione sessuale accompagna alla scoperta di un piacere accessibile a tutti, donne, uomini, gender queer, etero, gay. La sua idea è quella di «mettere da parte la penetrazione per concentrarsi sull’infinità di altri modi disinibiti, gioiosi e amorevoli con cui è possibile darsi e dare piacere». Un kamasutra senza penetrazione, che da più di un anno è in cima alle classifiche dei libri più ordinati su Amazon.

 

Tra le ultime uscite è molto curioso “Sesso, una storia imprevedibile” scritto dall’inglese Kate Lister, docente della Leeds Trinity University (edito da Il Saggiatore e tradotto da Alice Guareschi) che ripercorre la storia della sessualità attraverso parole, usi e costumi della società, dagli antichi egizi a oggi, rivista in chiave contemporanea. Fare sesso è una necessità biologica intrinseca negli esseri umani, come mangiare e dormire, eppure ha avuto una fortissima codificazione culturale che ha portato nei secoli a crearsi tabù e tradizioni del tutto arbitrarie, dall’onta per la masturbazione, soprattutto femminile, alla consuetudine del matrimonio e della monogamia. Nel libro ci sono molte curiosità che possono farci riflettere sull’antropologia umana e sulla sua evoluzione. Per esempio, si parla dei peli femminili: stupirà scoprire che la pratica della depilazione genitale era già in uso presso gli antichi greci. Aristofane nella Lisistrata affermava che «se le donne spennano e spuntano le loro porte, come ragni operosi, le mosche vengono a farsi un giro». Le ricche romane possedevano una schiava denominata “picatrix” con la funzione di depilare la padrona, una specie di estetista personale. Ma esistevano diverse scuole di pensiero, come testimonia una scritta rinvenuta su un muro a Pompei: «Una fica pelosa si fotte meglio di una glabra».

 

Cambia la cultura nel medioevo, ci sono diverse testimonianze di confessionali del XI secolo in cui le pratiche di depilazione, anche del volto e delle sopracciglia, sono considerate “peccati di lussuria” da punire e reprimere. Nello stesso periodo, al contrario del mondo cristiano, quello musulmano codificava e diffondeva la depilazione come pratica igienica e religiosa. Se ne trovano riferimenti anche nel Corano, in cui si specifica che i peli vanno tagliati ogni 40 notti. Nel 1500 troviamo invece anche in occidente testimonianze di manuali della cura del corpo e ricette per creme depilatorie.

 

Kate Lister parla anche del sesso come merce di scambio, ovvero della prostituzione. L’espressione “il mestiere più antico del mondo” si deve a un racconto di Kipling, intitolato “Sulle mura della città”. Difficile dire quando tale professione inizi ad essere esercitata, sicuramente è molto antica visto che se ne trova già traccia nel “Codice di Hammurabi” del 1754 AC, che stabilisce le leggi dei babilonesi, in cui si specifica che se si mette incinta una prostituta si è obbligati a pagarle una provvigione di grano, olio e vestiti. Come facessero a stabilire la paternità però non lo spiega.

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La definizione di prostituzione però è molto legata ai canoni culturali. Il termine che noi abbiamo in mente è stato coniato da cattolici per i quali la prostituzione era immorale. Quando i conquistadores spagnoli colonizzarono gli aztechi tradussero come prostituta il termine “ahuienime”, che in realtà significava “portatrice di gioia”: la loro pratica sessuale era infatti rituale, erano delle sacerdotesse che mettevano in contatto con gli dei attraverso atti sessuali. La prostituzione come pratica religiosa trova radici in molti popoli, anche nel Gilgamesh, la più antica saga epica che conosciamo, si parla di sacerdotesse che rinvigoriscono i combattenti con sacre pratiche sessuali, che li rendevano grandi guerrieri. Lo storico greco Luciano di Samosata racconta invece di un rito propiziatorio diffuso in Siria in cui le ragazze dovevano fare sesso con uno sconosciuto in un luogo pubblico per scongiurare il malocchio. La criminalizzazione della prostituzione sarebbe quindi una pratica relativamente recente, e introdotta dal cristianesimo.

 

Anche l’immunologa e divulgatrice scientifica Antonella Viola ha smesso di parlare di Covid per dedicarsi al sesso e ha appena pubblicato “Il sesso è (quasi) tutto: Evoluzione, diversità e medicina di genere” (Feltrinelli) in cui si interroga: «Viviamo in un mondo di maschi e di femmine. Difficile immaginare qualcosa di più naturale. Ma sappiamo davvero in cosa sono diversi? Cos’è il sesso in biologia? E il genere? Come funziona l’orientamento sessuale? Il mondo è davvero binario?». Scrive ancora Viola: «Fare la rivoluzione significa avere occhi nuovi per guardare noi stessi e il resto del mondo. Occhi nuovi per riconoscere le differenze che contano. E per dare loro valore».

 

Ma tutto ciò non accade solo in campo editoriale. Anzi l’editoria è l’ultimo, il più recente ambito nel quale il fenomeno di riflessione intorno al sesso si è manifestato.

Il modo di percepire il sesso sta cambiando velocemente anche nella comunicazione mainstream. I giovani affrontano tematiche legate al sesso con molti meno pregiudizi, e parlarne è normale, come dimostrano il successo di serie tv come la commedia britannica “Sex Education” in cui Otis, un ragazzino del liceo, figlio di una terapista sessuale, insegna ai compagni di scuola come affrontare problemi che vanno dall’eiaculazione precoce all’accettazione del proprio corpo, e si affrontano argomenti come la non-binarietà. «Siamo al liceo, qui ogni ragazzo pensa al sesso, oppure è sul punto di farlo, oppure lo sta facendo» dice Eric, l’amico gay di Otis, nella prima puntata: «Quindi perché non parlarne tra di noi?».

 

Nella musica sono molti i testi di giovani musicisti a tema queer. Solo per citare una delle figure più popolari prendiamo Madame, vicentina classe 2002, che canta: «La vita mi fa click sul clito, sa che godo quando preme il dito», nel pezzo Clito, che sta ovviamente per clitoride. Mentre Rosa Chemical, rapper piemontese nato nel ’98, in “Nuovi gay” canta: «La mia generazione è diversa, abbiamo lo smalto rosa. Bacio mio fratello sulle labbra, vado con la tipa ed il ragazzo. Quando ho iniziato non c’era nessuno ora tutta Italia grida facciamolo!».

 

Su Youtube il canale “Venti” conta oltre 800 mila iscritti, a cui si aggiungono gli ascoltatori dell’omonimo podcast. Il format è chiaro: sono ventenni che parlano ad altri ventenni affrontando con serietà le problematiche legate al diventare adulti. In questo contesto parlano anche di temi come la masturbazione femminile e il sex work. «La sessualità è un mondo vasto e vario, che cambia con noi mano a mano che cresciamo e cambiamo. È un tema complicato», diceva Sofia Viscardi nel primo video di Venti dedicato al sesso: oggi i video pubblicati sull’argomento sono già 115.

Viviamo un’epoca in cui si sta riscrivendo anche la storia dell’identità di genere. Il nuovo femminismo e una crescente attenzione verso il mondo LGBTQ+, soprattutto nelle giovani generazioni, sta modificando profondamente anche la storia della sessualità. È entrato ormai nel vocabolario comune il termine “queer” per indicare chi non vuole dare un nome alla propria identità di genere e/o orientamento sessuale.

 

Nel saggio “Queer: Storia culturale della comunità LGBT+” (Einaudi) Maya De Leo, docente di Storia dell’omosessualità presso il DAMS di Torino, ripercorre la storia delle identità di genere negli ultimi due secoli dal punto di vista medico, letterario e giuridico.

 

E Amia Srinivasan, inglese nata in Bahrein, docente all’All Souls College di Oxford, nel libro “Il diritto al sesso. Piacere, desiderio, femminismo”, appena uscito per Rizzoli, (traduzione di Roberta Zuppet) scrive: «Esaminiamo questa cosa apparentemente naturale, il “sesso”, solo per scoprire che è già carica di significato. Alla nascita, i corpi vengono etichettati come “maschili” o “femminili”, anche se molti devono essere mutilati per rientrare nell’una o nell’altra categoria e, in seguito, protesteranno contro la decisione presa. Questa divisione originaria determina lo scopo sociale che verrà assegnato a ciascuno di loro. Alcuni servono a generare altri corpi, a lavarli, vestirli e nutrirli (per amore, mai per obbligo), a infondere loro un senso di benessere, completezza e protezione, a farli sentire liberi. Il sesso, dunque, è una cosa culturale che si spaccia per naturale».

 

Katherine Angel invece ne “Il sesso che verrà. Donne e desiderio nell’era del consenso” (Blackie Edizioni, traduzione di Veronica Raimo e Alice Spano) indaga la spinosa questione della molestia sessuale, anche quello un concetto che è molto evoluto nel tempo. Per secoli il consenso della donna all’atto sessuale era superfluo. Nel 2017 il caso Harvey Weinstein e il movimento #MeToo hanno stabilito nuovi paletti a ciò che è considerato molestia. Angel ribadisce però che nonostante questi progressi viviamo ancora in un mondo pieno di stereotipi, a cui ci sentiamo in dovere, spesso inconscio, di aderire.

 

Insomma per le nuove generazioni il sesso è una cosa molto diversa da quello che era per i loro genitori. Non è solo una questione riproduttiva o legata al piacere, o dal valore politico, come lo è stato per i movimenti femministi nati negli anni Sessanta, ma ha a che fare soprattutto con l’identità e con il proprio posto nel mondo.

 

Concetto che ha radici lontane, basti pensare a quello che scriveva Simone de Beauvoir ne “Il secondo sesso” del 1961: «Ricordiamoci che la nostra mancanza d’immaginazione impoverisce sempre l’avvenire… Nasceranno tra i sessi nuovi rapporti sessuali e affettivi di cui non abbiamo idea».