La lezione di Michela Giraud: abbasso le ragazze toste

Diamo un taglio alle inutili etichette. La comica romana nel suo show su Netflix “La verità, lo giuro!” arriva dritta al cuore. E al cervello

C’è un tormentone indimenticabile nei “Ragazzi irresistibili” di Herbert Ross, in cui George Burns sbatte il dito sul petto di Walter Matthau una, dieci, cento volte, per farlo letteralmente impazzire. Quel colpo a ripetizione, zac, zac, zac, preciso, implacabile, è quello che senti fisicamente guardando “La verità, lo giuro!”, lo show targato Netflix di Michela Giraud che in quell’oretta di parole scaricate a raffica, di verità capaci di toccarti assai da vicino ne snocciola parecchie. Perché l’effetto del monologo di questa furia di entusiasmo comico in paillettes è proprio quello di lasciarti in balia di una serie di malsane evidenze quotidiane che arrivano dritte al cervello di coloro che hanno ancora la cattiva abitudine di riflettere su quel che accade nel mondo circostante. Tanto più a chi si ostina a guardare la tv, ordinaria sintesi della donna comune.

Così, per esempio, scopri, come in un giro azzardato sulla giostra del giornalismo estremo, che non è obbligatorio piacersi sempre. Succede, a volte, persino a quelle che hanno oltrepassato la taglia 38 e che da contratto con la pubblica opinione non solo sono tenute a essere splendide, vivaci e intelligenti ma persino a gradire la propria immagine riflessa, a tutti i costi. E non si capisce bene per quale motivo, oggi e, si teme, persino domani, questo esercizio da cintura nera della “body positivity” debba essere obbligatorio. E di tombino in tombino, Giraud, a cui si perdona persino l'incursione in “C'era una volta l'amore” di Real Time, scoperchia ferite sin troppo conosciute. Come le etichette lanciate qua e là, per cui sei curvy, o se va bene sei «ragazza tosta». Perché visto che diventa notizia il fatto che una donna combini qualcosa nella vita, per giustificarla si affianca l'improbabile aggettivo. «Ma cosa fa una ragazza tosta? Trova le chiavi in borsa al primo colpo? Parcheggia a sinistra? Va in bagno da sola?».

E c’è talmente tanta verità in queste poche battute, che si sente il disagio scorrazzare allegramente sottopelle mentre ti viene da scorrere tutti i titoli e i lanci televisivi passati sotto gli occhi su donne di successo rigorosamente “toste” ma raccontate senza cognome, e lo sconforto, quello sì, si fa strada sotto gli abiti. Insomma, racconta, si può essere deboli, si può essere grasse, disabili, guardate come mostri, con un scolapasta sulla testa. Si può sbagliare e ricredersi. E nonostante tutto, anzi grazie a questo tutto, tenere in mano un palco, stringere la vita. E alla fine commuoversi persino. Senza cedere di un centimetro. Lo giuro, è la verità. 

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