Si parla e riparla di nuove regole. Ma l’unica possibilità per dare una vera sistemata agli studi è trattarli come una cucina. E far intervenire Antonino Cannavacciulo, lo chef dei miracoli

C'è chi urla e strepita e chi è svogliato, spento, e non vede l'ora di arrivare a fine servizio. Prometti una cosa e ne fai un'altra, promuovi una sostanza solo per attirare il pubblico, cuoci e stracuoci sino a rendere la presentazione un magma indistinto e alla fine, senza la cura di base per gli ingredienti da maneggiare, il risultato per chi ti frequenta è un disastro. Praticamente detta così è il rancio abituale propinato dai talk show, che affliggono quotidianamente le mense televisive.

 

Invece, sorpresa, è la traduzione letterale di quanto avviene nel fortunato ritorno di “Cucine da incubo”, l'esperimento televisivo (SkyUno) che si può sintetizzare in una sorta di Cenerentola culinaria dove il peggior ristorante sulla piazza  riceve una verniciata da Antonino Cannavacciuolo nei panni di una irresistibile fata Smemorina che armata di mestoli lo trasforma nel luogo che ognuno vorrebbe frequentare.

 

Quando lo chef stellato arriva,  trova una situazione desolante. Uomini e donne col «cuore grande e il cervello di gallina», che a suon di piatti precotti mettono in difficoltà i compagni di lavoro e soprattutto chi ne vorrebbe fruire con agio. Qualcuno si fa prendere dall'ansia, oppure comanda e decide a caso, punta sulla volgarità diffusa, o peggio lascia prendere la scena a chi non conosce neanche le basi del mestiere, continuando a ripetere a gran voce di sapere tutto quando in realtà sa ben poco. E chi ne risente è la tavola, sull'orlo del fallimento. Ma se non vuoi bene a quella che dovrebbe essere la tua casa, il risultato si vede.

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I consigli salvavita del bonario Cannavacciuolo sono semplici e di buon senso. Non promettere quello che non puoi offrire. Non offendere il cliente. Lascia da parte i ciarlatani e metti ai fornelli chi è in grado di starci. Così il parallelismo col dibattito in tempi di guerra calza a pennello, basta sostituire uno studio a una cucina malmessa e le figure combaciano alla perfezione. Certo i ristoratori godono di maggior fortuna, potendo usufruire dell'intervento del giudice di Masterchef, che in una magica settimana sostituisce la cozza surgelata col branzino in crosta di cipolla, elargisce rimbrotti risolutivi e riesce a far andare tutti d'amore e d'accordo per far trionfare l'impresa. Invece negli studi televisivi niente fate, niente chef.

 

Peccato, perché a volte una bella pacca sulla schiena farebbe un gran comodo allo spettatore. O al cliente. Che poi alla fine sono la stessa cosa e prima poi potrebbero anche decidere di non pagare il conto 

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