Il cappotto è liso, i modi cortesi, lo sguardo febbrile. Ma si capisce: quello sconosciuto di mezz’età deve sgombrare la casa della madre appena scomparsa, una serie di circostanze rendono l’ingrato compito ancora più urgente. Dunque affare fatto: ecco l’assegno, ecco la cantina, porti pure subito le sue cose, concede l’ex-proprietario Simon Sandberg (Jérémie Rénier, attore dei Dardenne). Così il pacato monsieur Fonzic (François Cluzet), professore di storia in un liceo della banlieue, si piazza armi e bagagli in quello scantinato sotto un bel palazzo parigino (“L’homme de la cave” è il polanskiano titolo originale). E non se ne va più, anzi blinda la porta e si attacca anche a luce e gas condominiali.
Perché non era vero niente. La cantina gli fa da casa, da rifugio, da covo, come scopriranno sgomenti Sandberg e sua moglie (Bérénice Béjo), tranquilla coppia borghese con qualche brutto ricordo sepolto nel passato. Sandberg infatti è di origini ebraiche, alcuni suoi parenti non tornarono dai lager, ma sono cose di cui non ama parlare e anche questo si può capire. Solo che il capzioso monsieur Fonzic disdegna le verità ufficiali. Il discorso dominante nasconde sempre qualcosa, spiega ai condomini incuriositi e all’innocente Justine, figlia adolescente dei Sandberg (Victoria Eber). È facile per voi, che avete tutto, tenerci ai margini. Facile ridurci al silenzio. Ma chi ci dice che le cose - lager compresi - siano andate davvero così?
Già. Con i suoi modi cortesi, l’inquilino del sottoscala è un ripugnante negazionista. Un blogger che sparge veleno travestendosi da vittima. Una brutta bestia per i Sandberg, costretti a scoprire che nel palazzo c’è pure chi è pronto a prendere le sue difese. Ed è un peccato che Le Guay, già autore di piccoli ordigni implacabili come “Molière in bicicletta”, “Le donne del sesto piano”, “Il costo della vita”, risulti più convincente sul fronte della minaccia (Fonzic) che su quello della cosiddetta normalità, come spesso accade. Perché questo film ispirato a una storia vera risalente a una decina d’anni fa, allegoria di un contagio che ormai si sparge senza vergogna attraverso tutti i canali, sarà pure laboriosa (a casa Sandberg, famiglia numerosa, ognuno reagisce a modo suo) e vagamente datata, ma è di quelle che una volta viste vi si piazza in testa e non vi molla più.
“Un’ombra sulla verità (L’homme de la cave)”
di Philippe Le Guay
Francia, 114’