Prima il lockdown a Città del Messico. Poi l’evasione in campeggio nell’Oregon. E il desiderio di riscoprire i segreti della natura. Un racconto inedito della scrittrice in arrivo a Roma per Letterature

Poche volte ho sentito la mancanza della natura come durante i mesi che ho passato confinata a Città del Messico dal Covid. Poche volte ho sentito di più la mancanza del mare, della montagna, della campagna. Immagino che questa sensazione mi accomuni a molte persone. L’estate scorsa sono stata con i miei figli e il mio compagno nei boschi dell’Oregon. Una coppia di amici che nel 2020 ha campeggiato per più di trecento giorni si è offerta di iniziarci all’arte di dormire per più notti in mezzo alla natura, cosa che, come sa qualunque cittadino che ci abbia provato, è meno semplice di quanto sembri. Bisogna sbarazzarsi di molte abitudini, di molte manie e nevrosi, per scoprire che in realtà gli oggetti che ci sembrano imprescindibili, cellulare compreso, non sono così necessari.

 

Nel posto in cui ci siamo accampati la vita straripava in ogni pianta, dimora di decine di insetti. Abbiamo visto un alce e diversi cerbiatti, conigli, procioni, uccelli canterini, insetti di tutte le dimensioni, che splendevano come piccoli gioielli volanti. L’acqua del fiume era potabile, ma anche talmente limpida che sul fondale si vedevano nuotare i pesciolini colorati. Una mattina siamo andati a camminare in montagna, in un luogo che si poteva raggiungere soltanto a piedi, dopo aver attraversato il fiume. Un luogo visitato di rado dagli esseri umani. Volevamo andare a raccogliere i funghi. I funghi Reishi e Coda di tacchino, ci hanno spiegato, si sono rivelati utilissimi nella cura di malattie come il cancro, perché contribuiscono a rigenerare i tessuti. Sono più efficaci quando si raccolgono in boschi isolati, lontani da qualunque agente contaminante.

Quella mattina mi è sembrato logico partire alla ricerca di una medicina o dell’elisir della vita in luoghi preservati, dove la natura è ancora intatta. I luoghi dove nessuno ne ha ancora abusato sono quelli in cui la madre terra esprime tutto il suo potere. I funghi, lo sanno tutti, si nutrono di organismi in decomposizione. Sono i grandi riciclatori, alchimisti capaci di trasformare la morte in vita, un po’ come il dottor Frankenstein che cercava di animare una creatura creata con pezzi di cadaveri diversi, ma senza tecnologia. I funghi assumono forme e comportamenti di ogni genere. Per me sono le macchie verdi che crescono sul pane, usate per produrre gli antibiotici, ma anche tutti gli altri esseri che fanno risorgere la vita o la mantengono quando il mondo sembra soccombere all’entropia. Le amiche di mia madre che badavano a me e a mio fratello quando lei era malata o in viaggio erano funghi, a modo loro.

Sono funghi anche i giovani che si sono organizzati spontaneamente per estrarre le vittime dalle macerie durante il terremoto che ha devastato Città del Messico nel 2017; i medici e gli infermieri che hanno messo a repentaglio la propria vita assistendo i malati di Covid quando nessuno era vaccinato. I bambini e gli studenti che hanno sopportato stoicamente la reclusione di mesi e mesi per evitare che gli anziani si contagiassero durante la pandemia.

Vorrei, come molte altre persone, lasciare ai miei figli e alla loro generazione un pianeta pulito, un luogo sano, e insegnare loro ad avere un rapporto armonioso con la natura. Vorrei dire loro che è importante preservarla e difenderla, ma se il nostro mondo dovesse finire prima che questo accada, vorrei incoraggiarli anche a essere come i funghi che trasformano la putrefazione in vita. E – visto che la storia è una spirale – vorrei trasmettere loro la certezza che dalle macerie rinasceranno sempre gli alberi, il muschio, il micelio, l’arte, la poesia e altre cose belle.

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