intervista
Karl Schlögel: «Per capire l’Homo Sovieticus bisogna guardare la Russia dal Mar Nero»
La rivolta di Maidan. Il superamento della visione russocentrica del mondo. L’Ucraina come laboratorio dai confini aperti. Parla uno dei massimi esperti di storia russa
«Dopo che Putin si è impossessato della Crimea, non potevo più accettare la medaglia Puskin». Appena ci accoglie nel suo salotto berlinese Karl Schlögel, uno dei massimi esperti tedeschi di storia e cultura russa, tiene a precisare perché nel 2015 ha rifiutato l’ambita onorificenza di Mosca. «Durante la rivolta di piazza Maidan mi sono trovato anch’io a Kiev», continua con voce pacata: «Solo in quei giorni ho capito che anche per noi storici l’Ucraina era percepita come una “macchia bianca”, un luogo senza identità nell’impero sovietico e post-sovietico». Un impero, quello russo, a cui Schlögel, docente di Storia dell’Europa orientale a Frankfurt Oder, ha dedicato opere fondamentali come “L’utopia e il Terrore. Mosca 1937”. «Fino alla rivolta di Maidan avevamo una visione “russo-centrica” dell’Est Europa, basata su una prospettiva imperiale moscovita», aggiunge Schlögel: «Questo è stato per me il vero shock positivo della rivoluzione ucraina: Kiev oggi non è più il cortile dell’impero di Putin, ma esiste una Ucraina con una sua storia autonoma». Già lo storico americano Mark von Hagen aveva iniziato, nel 1995, a chiedersi: «Does Ukraine have a History?». E anche lo storico Dan Diner si era chiesto se non dovessimo sistemarci sulla famosa scalinata di Odessa per “Raccontare il Novecento”, come si intitola uno dei suoi saggi più significativi. «Diner e von Hagen hanno ragione: dopo la guerra scatenata da Putin percepiamo ancora meglio che, per capire la cultura dell’Est, dovremmo collocarci sul Mar Nero. Un’angolazione più mediterranea, aperta come la storia di Odessa al mondo greco, all’influenza genovese e veneziana, a quella di Istanbul e del mondo islamico, alla forte presenza delle comunità ebraiche e delle varie confessioni cristiane», sottolinea Schlögel.
È tutto questo effervescente, multiculturale paesaggio ucraino che Schlögel ha raccontato di recente in “Decisione a Kiev”, meraviglioso libro di viaggi nelle città dell’Ucraina, diventato un bestseller in Germania. «L’ho scritto prima che scoppiasse questa guerra spietata di Putin», precisa l’autore. Una guerra che per molti versi è la prosecuzione dell’ossessivo pregiudizio con cui i russi hanno sempre guardato all’Ucraina. «Il pregiudizio razziale per una Ucraina sentita come provincia dell’impero moscovita è così diffuso in Russia che lo ritrovi persino in poeti e dissidenti russi come Joseph Brodsky, autore di una poesia con versi agghiaccianti contro l’Ucraina», sottolinea. Agli occhi di Schlögel, invece, un Paese sterminato come quello di Kiev «è un laboratorio politico creativo e dai confini aperti. Ucraina vuol dire terra dei confini, anche dal punto di vista culturale e religioso, con le tante anime che attraversano questa fucina davvero europea. L’ortodosso Putin non può che odiarla questa terra dai confini aperti, ed è per punire l’apertura storico-culturale dell’Ucraina che ha sferrato il suo attacco contro Volodymyr Zelensky». Ma cosa si nasconde nella mente di Putin, quali gli obiettivi e arcani “principi” che spingono l’ex-agente del Kgb a “denazificare” l’Ucraina e a voler riportare Kiev, con i panzer e le bombe, nel ventre dell’impero russo? «Putin crede davvero che la fine dell’impero sovietico sia stata la più grande catastrofe del Novecento», risponde Schlögel: «Il suo è un imperialismo ossessivo. Dal suo punto di vista quella in Ucraina è una guerra per “liberare” la Russia dall’accerchiamento con cui l’Occidente tenta di distruggere il suo nuovo impero».
Oltre ai panzer e ai battaglioni sono le raffiche di eclatanti fake news i mezzi con cui Putin e i suoi più stretti collaboratori combattono la guerra contro l’Ucraina. Incluse le affermazioni più agghiaccianti come quella di Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri, secondo cui «non è la prima volta che gli ebrei si rivelano dei nazisti». «Frasi aberranti, ma è questo il modo in cui Putin e i suoi adepti strutturano la comunicazione politica», spiega Schlögel. Attenzione infatti a non scambiare Putin, Lavrov o l’astuto portavoce-stampa Dmitry Peskov per folli scatenati, «la loro politica rimanda ad una visione assolutamente cinica dei rapporti di forza nell’era globale», prosegue: «Mosca è in mano a raffinati demagoghi che sanno benissimo che oggi la Russia non è una superpotenza economica come gli Usa e la Cina, ma anche che l’imperialismo russo ha una chance solo sfruttando in tutti i modi, con la guerra e la disinformazione, le debolezze dei regimi liberali occidentali».
Nella trappola della propaganda russa sembra essere scivolata tutta la Spd tedesca, con il titubante cancelliere Olaf Scholz che nelle ultime settimane non sapeva se inviare o meno armi a Kiev. Se chiudere o no i rubinetti del gas alla Gazprom e ai gasdotti sul Baltico di Nord Stream, la società di cui l’ex cancelliere Gerhard Schröder è il manager. «La catastrofe morale della Spd nei suoi rapporti così ambigui con Mosca non è un problema solo dell’ex cancelliere Schröder, ma un “complesso ideologico” nei confronti della Russia che tocca tanta storia tedesca a partire dai rapporti fra gli imperi prussiano e russo. E tanta intelligentsia russa che, come Bakunin o Aleksandr Herzen, si forma negli atenei di Dresda e Gottinga». Sia nella mente di Scholz, quindi, sia in quella della ex cancelliera Angela Merkel «troviamo sempre uno spesso fondo di nostalgia fra Germania e Russia, e tanto di quel tipico “kitsch-russo” che si è formato qui in Germania. È difficile da eliminare da un giorno all’altro». A dar retta al filosofo Peter Sloterdijk, autore di una “Critica della ragion cinica”, Putin meriterebbe senz’altro il premio Nobel del neo-cinismo moderno. Specie per il modo in cui lo zar di Mosca si serve del culto religioso e dei legami con la chiesa ortodossa. «Sotto l’asfittica dittatura di Putin i russi si trovano oggi in stato di trance», spiega Schlögel: «Un intero Paese drogato da un mix di risentimenti e fobie, pregiudizi razziali, dogmatismo religioso e antisemitismo» . A dar retta ai sondaggi, l’immane catastrofe della guerra sembra rendere allo zar, se non sul campo di battaglia, almeno in termini di consenso. Tanto più che Putin si sta rivelando abilissimo nel cancellare dalla coscienza dei russi ogni traccia di passato che non sia funzionale al culto revisionista del suo impero. «Insieme ai panzer contro l’Ucraina», spiega Schlogel, «Putin ha sferrato una guerra contro “Memorial”, l’associazione che documentava i crimini dello stalinismo. I traumi dello stalinismo devono restare occulti ai russi. Lo zar blocca ogni libera interpretazione sul passato, solo lui è il sovrano assoluto anche della Storia russa».
Delle catastrofi dello stalinismo, dal genocidio dello Holodomor in Ucraina alle deportazioni di popoli interi alle “purghe” degli intellettuali «ai russi non deve restare in mente che “la guerra gloriosa” contro la Germania nazista, le parate del 9 maggio per mostrare ai sudditi la forza del nuovo impero», continua lo storico tedesco. Putin, insomma, sta facendo di tutto per trasformarsi in un sovrano assoluto e invertire le lancette della storia europea. «Se la modernità sorge in Europa, nel momento in cui Thomas Hobbes, nel “Leviatano”, separa la sfera politica da quella religiosa, l’impero di Putin è una fuga dalla modernità e il tentativo di unire sotto l’egida del sovrano una chiesa ortodossa sempre più prona allo zar», precisa Schlögel.
Sogni imperiali a parte, quel che è sicuro è che con l’invasione della Crimea, del Donbass e la guerra in Ucraina Putin ha sconvolto non solo la mappa geopolitica d’Europa, «ma tutte le categorie politiche e civili a cui ci eravamo abituati in Europa negli ultimi 70 anni», afferma lo storico: «Anche l’idea stessa di una resistenza di popolo armato, per non parlare dell’idea di eroismo ci parevano del tutto obsolete nella nostra epoca postmoderna».
Ma come insegnava il filosofo Ernst Bloch, il problema più spinoso della storia non è tanto il passato, di cui possiamo inventarci ogni interpretazione, né il futuro che possiamo immaginarci a piacere. «Per Bloch è il buio dell’attimo vissuto», ricorda Schlögel, «il problema più impellente della Storia. E oggi gli ucraini stanno combattendo per la propria dignità. Con la rivoluzione di Maidan hanno dichiarato di non voler essere più schiavi sottomessi all’impero di Putin. Con tutti i difetti possibili, negli ultimi trent’anni hanno costruito una democrazia, mentre la Russia si è chiusa in una dittatura feudale». Per ironia della sorte, oggi tocca agli ucraini ricordarci l’origine da cui è scaturita l’Europa moderna: «La scintilla della libertà», conclude lo storico: «Quella per cui gli ucraini ora combattono per viversi il dono di una vita libera e in pace. La speranza è che all’Ovest capiamo questa lezione di libertà che ci viene dall’Ucraina, terra di frontiera al centro d’Europa».