Ci voleva una sentenza allucinante come quella della Corte Suprema americana che ha annullato il diritto costituzionale all’aborto, per scatenare l’ira dell’intero mondo della musica. Eddie Vedder dei Pearl Jam ha urlato a Imola che in America i diritti delle donne non sono garantiti, Pink ha postato sui suoi social una proposta forte e condivisibile: «Se apprezzate la sentenza antiabortista allora non ascoltate più la mia musica», come dire se la pensate in quel modo non voglio neanche immaginare che le mie canzoni siano da voi amate e ascoltate.
Al festival di Glastonbury, ormai la tribuna rock per eccellenza, è stato un coro continuo: Billy Joe Armstrong dei Greenday ha detto che rinuncerà alla cittadinanza americana, e in questo periodo è anche questo un pensiero condivisibile; Olivia Rodrigo ha tuonato contro i giudici e poi insieme a Lily Allen hanno cantato “Fuck you”, Billie Eilish ha detto che è una giornata nera per le donne in America. Quel gran genio di Kendrick Lamar ha terminato il suo concerto con in testa una corona di spine e il sangue che colava sulla sua camicia bianca urlando a ripetizione: «Godspeed for women’s rights; they judge you, they judge Christ!». E poi ancora Taylor Swift, Bon Iver che ha postato un laconico ma significativo «I cant stop cryng», e poi ancora Harry Styles, Cher, Cat Power, Alicia Keys, John Legend, uomini e donne di ogni stile e generazione.
Perfino Mariah Carey ha tuonato: «It is truly unfathomable and disheartening to have to try to explain to my 11 year old daughter why we live in a world where women’s rights are disintegrating in front of our eyes».
È vero, come si fa a spiegare a una figlia di 11 anni perché viviamo in un mondo in cui i diritti delle donne si stanno disintegrando davanti ai nostri occhi? Il problema come sempre è l’America, il Paese delle massime contraddizioni, il rigoglioso luna park della cultura moderna e poi la nazione della pena di morte, delle armi libere, di Trump.
«Viviamo in un’America che non riconosco», scrive Jennifer Lopez e Madonna lo spiega ancora meglio: «Mi sono svegliata con una notizia terrificante, il ribaltamento di Roe v. Wade», in riferimento a una sentenza storica del 1973 che affermò il diritto di una donna alla scelta dell’aborto. E continua: «Ora la Corte Suprema ha deciso che i diritti delle donne non sono più diritti costituzionali. Di fatto abbiamo meno diritti di una pistola». La scesa in campo è potente e massiccia. I messaggi non si limitano a deplorare l’accaduto. Molti annunciano battaglia, e allora ne vedremo delle belle. Non capita spesso che la musica si mobiliti in massa, ma quando succede l’effetto è garantito.