Le avventure di Katia e Maurice Krafft in un film tra Cousteau e la nouvelle vague

Fire of Love, coraggio e follia sull’orlo del vulcano

Non fossero esistiti davvero, Katia e Maurice Krafft sarebbero i perfetti eroi di un romanzo d’avventura. Due spiriti ribelli e amanti dell’estremo che crescono in Alsazia “tra le macerie del dopoguerra”, si incontrano all’università, scoprono di condividere la stessa divorante passione. Quindi si sposano, diventando ben presto due star di una scienza pericolosa e in ascesa, la vulcanologia.

Chi ha visto il meraviglioso “Into the Inferno” di Werner Herzog ne ricorda la fine terribile, da loro stessi tante volte preconizzata: investiti da una nube piroclastica in Giappone per essersi avvicinati troppo, ancora una volta, all’oggetto di ogni loro passione. Lasciando al mondo, come dice questo bel documentario ora nelle arene e dal 25 agosto in sala, «decine di libri, centinaia di ore di filmati, migliaia di foto. E un milione di domande».

 

La loro parabola meritava un’indagine accurata. Ma tutte quelle immagini “catturate” cinepresa in spalla in giro per il mondo, con rischi indicibili, esigevano un trattamento all’altezza di due personalità così estreme e così consapevoli. Bisognava scavare nelle zone più oscure senza trascurare i meriti umanitari. Un vulcanologo capace può infatti salvare migliaia di vite, purché sappia farsi ascoltare.

I Krafft unirono al rigore scientifico una formidabile capacità di comunicazione (dunque un notevole peso politico). Sara Dosa, premiata regista canadese, riesce a fondere tutte queste componenti delle loro avventure in un doppio ritratto che usa con efficacia anche il cinema d’animazione. Estraendo dalle loro immagini la testimonianza di un vero talento cinematografico (anche se loro pudicamente si schermivano). Coniugato a un gusto del pericolo e della trasgressione che rasenta la follia. Vedere Maurice pagaiare beato in canotto sul più grande lago di acido solforico al mondo, può provocare il capogiro. Ma non mancano momenti umoristici. Come i 27 guasti subiti dalla loro fragile Renault 4 fra i crateri dell’Islanda, prima dell’incidente definitivo. O il pietrone che Maurice tira sulla testa della povera Katia per collaudare un casco che sembra uscito da un romanzo di Verne. Coraggio, follia, gusto kantiano del Sublime.

A cavallo tra Cousteau e le nouvelles vagues europee, i Krafft meritavano il grande schermo. Eccoli risarciti.

 

“Fire of Love”
di Sara Dosa
Canada-Usa, 93’, 000’

 

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