Cultura
13 settembre, 2022

Film Commission sotto i riflettori: «Per la formazione c’è ancora molto da fare»

Promuovono territori e coproduzioni, attirano investitori esteri. Tra burocrazia e conflittualità. Parla Cristina Priarone, presidente dell’ente che coordina le commissioni regionali

Ora che il Festival di Venezia ha chiuso i battenti, il mondo del cinema deve affrontare la sfida più grande: riempire le sale, svuotate dall’onda lunga del Covid-19, dalle nuove abitudini degli spettatori e adesso appesantite dal caro bollette, che sta mettendo in ginocchio decine di esercenti. Paradossalmente, però, in Italia non si è mai girato così tanto. Serie televisive e film, italiani e stranieri, di recente la seconda stagione della dark comedy della Hbo “The White Lotus”, ambientata in Sicilia. Un sistema in cui le venti Film Commission regionali (il Molise è l’unica Regione a non averne) incaricate di promuovere i territori, sviluppare coproduzioni internazionali, aiutare i produttori a trovare le location e ottenere i permessi, giocano un ruolo chiave, malgrado inefficienze e conflittualità. Ne abbiamo parlato con Cristina Priarone, presidente di Italian Film Commissions e direttore generale di Film Commission Roma Lazio, la commissione che amministra e promuove il budget più alto di tutte le regioni italiane, circa 19 milioni di euro nel 2022.

 

Dottoressa Priarone, di quali fondi dispongono le Film Commission regionali?
«Sono due le linee di investimento: i fondi destinati direttamente al cinema e all’audiovisivo, complessivamente più di 50 milioni di euro per il 2022, in leggera crescita rispetto all’anno scorso. E poi la dotazione delle Film Commission per il loro lavoro, il servizio costante alle produzioni: non si tratta di un aiuto economico diretto, ma solleva le società da molti problemi. Alcuni fondi vengono gestiti direttamente dalle commissioni, altri dalle Regioni, altri ancora da enti deputati».

Dopo le elezioni del 25 settembre si insedieranno un nuovo Parlamento e un nuovo governo. Che cosa si aspetta?
«L’approccio al settore delle Film Commission deve diventare strutturale. Le commissioni hanno bisogno di stabilità, programmazione pluriennale, certezza delle risorse, senza essere condizionate dall’andamento ondivago delle Regioni. Molto è stato fatto per favorire l’internazionalizzazione, la promozione dei territori, il sostegno ai progetti, la creatività, tuttavia resta ancora molto da fare. Alcuni territori hanno instaurato rapporti virtuosi con le loro Film Commission di riferimento, altri non ancora».

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Lei presiede l’Italian Film Commissions, l’associazione di coordinamento delle venti commissioni regionali. A cosa serve?
«Non abbiamo un budget ma solo piccole quote associative. Svolgiamo un’attività di presenza nei mercati: per esempio, a Venezia abbiamo organizzato “Cappuccino with the Italians”, un’attività di networking che portiamo anche a Cannes e alla Berlinale, dove invitiamo produttori esteri e italiani. Abbiamo alcuni tavoli di lavoro presso la Dg (Direzione generale del cinema e dell’audiovisivo, ndr) del Mibact: uno per facilitare l’accesso ai beni culturali italiani per le produzioni; un altro per l’armonizzazione dei fondi regionali, affinché i produttori non impazziscano dietro a mille linguaggi e modalità diversi; un altro ancora per l’internazionalizzazione e, infine, uno sui Festival, anche quelli più piccoli, perché riteniamo che siano agorà fondamentali».

Un punto debole del sistema delle Film Commission, secondo alcuni, consiste nella scarsa capacità di assumere addetti a livello locale. Come si può invertire la rotta?
«Nella loro azione le Film Commission si ispirano a un principio fondamentale: promuovere l’economia locale e coinvolgere il più possibile maestranze e risorse del territorio. Che poi si possa migliorare è probabile, soprattutto per la formazione».

Cosa si può fare?

«È un momento particolarmente positivo: le persone lavorano, riescono a pagare i mutui, risulta difficile trovare professionisti liberi. Tutto questo è bellissimo, ma è molto importante lavorare sulla formazione. Oggi esistono nuovi mestieri, come il green manager, e le professioni digitali legate alla meccatronica e agli effetti speciali. E poi ci sono i “vecchi mestieri”, in cui l’Italia eccelle: tagliatori, sarte, costruttori. Basti pensare che le parrucche per i film di Hollywood vengono fatte nel nostro Paese. Bisogna cambiare mentalità, non celebrare il passato ma puntare sulla formazione. Da questo punto di vista Cinecittà e Centro sperimentale possono fare molto. Le Film Commission sono leve di promozione del territorio ma servono anche a sostenere il cinema in connessione con l’estero, perché non è più possibile agire in un’ottica locale».
 

I produttori stranieri che girano film in Italia beneficiano del credito di imposta al 40 per cento, attraverso le imprese italiane di produzione esecutiva. Un abbattimento dei costi molto allettante per Hollywood.
«Il meccanismo del tax credit non impatta sul sistema delle Film Commission dal punto di vista economico. Tuttavia, si tratta di una carta fondamentale che le commissioni promuovono. Noi agiamo in collaborazione con Dg Cinema del Mibact, Ice, Enit e le associazioni di settore come Anica. Il credito di imposta è un importante jolly a livello internazionale, ma le Film Commission lavorano tutti i giorni e ricevono tutti: dall’autore al grande produttore, dal giovane che vuole intraprendere una carriera al catering che intende proporsi alle produzioni».

Le Film Commission rappresentano un riferimento per le produzioni internazionali. È giusto che i fondi pubblici vengano destinati a soggetti che non pagano tasse in Italia, a scapito di autori e produttori indipendenti?
«È una semplificazione errata, i fondi regionali sono sempre legati agli operatori del territorio. La presenza di produzioni internazionali in Italia, mai così consistente, è dovuta all’exploit delle piattaforme digitali, che portano sul territorio una notevole quantità di ingredienti internazionali. Ma bisogna precisare che le Film Commission, rispetto all’estero, svolgono un lavoro di promozione e attrazione ma non di finanziamento. Anzi, mantengono un’attenzione forte alla produzione e alla creazione nazionale e locale: una buona commissione fa crescere il proprio settore audiovisivo, non lavora solo per dare soldi ai produttori. Gli operatori americani si attirano andando ai festival, con una presenza consolidata e rispettabile, oggi le Regioni italiane sono riconosciute nei mercati internazionali. Dieci anni fa, al Festival di Cannes, la parola Lazio non aveva lo stesso peso di oggi».

A proposito di Lazio, un’inchiesta della procura di Roma ha evidenziato come alcune organizzazioni criminali, in particolare personaggi vicini alla camorra e ai Casamonica, ripuliscono il denaro sporco infiltrando le loro aziende nelle produzioni di film e spot pubblicitari
«Le procedure previste nei bandi regionali sono molto rigide e prevedono numerosi controlli. Il lavoro delle Film Commission si ispira a criteri di massima trasparenza. Se poi sussiste un illecito, questo attiene a una sfera che non dipende da noi». 

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