Margherita Buy e Paolo Genovese: «L’importanza della prima volta»

Il dolore, la felicità, la rinascita. Quattro sconosciuti, un uomo misterioso che li fa rinnamorare dell'esistenza. È “Il primo giorno della mia vita”, il nuovo film del regista tratto dal suo omonimo romanzo. Un dialogo emozioni: paura, curiosità e voglia di ricominciare

C’è sempre una prima volta: per Paolo Genovese, regista di “Perfetti sconosciuti”, commedia amara che conta più di venti remake in tutto il mondo. Roba da Guinness. E anche per Margherita Buy, quasi quarant’anni di carriera, occhi azzurri profondi e malinconici, protagonista in tanti film di Nanni Moretti tra cui “Il sol dell’avvenire”, in uscita ad aprile. Buy e Genovese si conoscevano, si erano incrociati diverse volte, in passato avevano lavorato fianco a fianco nella serie tv “Amiche mie”, versione italiana di “Sex and the city”. Ma un film insieme non l’avevano mai fatto.

 

Per questo motivo, e non solo, “Il primo giorno della mia vita”, tratto dall’omonimo romanzo di Genovese (Einaudi) nelle sale dal 26 gennaio, ha il sapore di un nuovo inizio. La storia ruota intorno a un argomento molto delicato: un uomo misterioso (Toni Servillo) si presenta a quattro persone che hanno toccato il fondo, decise a farla finita. Un motivatore senza motivazioni (Valerio Mastandrea), una ex atleta olimpica su una sedia a rotelle (Sara Serraiocco), un ragazzino bullizzato (Gabriele Cristini) e, appunto, una poliziotta dal carattere forte, interpretata da Buy, che ha perso all’improvviso la figlia sedicenne. L’angelo propone loro un patto: una settimana di tempo per far rinnamorare della vita i quattro sconosciuti, aiutarli a trovare un nuovo senso, ricominciare quando tutto intorno sembra crollare.

Prende spunto da qui la nostra conversazione a tre, poi si allarga ad altre riflessioni: la rinascita dopo un grande dolore, il coraggio di affrontare l’esistenza, la gioia inaspettata. E la scoperta di una sensibilità comune nel raccontare una storia. Come è andata insieme sul set? «Molto faticoso, un film difficile su un argomento complesso. Abbiamo girato tutto di notte, con la pioggia, il freddo. I sentimenti variavano spesso, tra l’odio e l’idea di non riuscire a farcela», scherza ma non troppo Buy. «Per interpretare Arianna ho pensato subito a Margherita. Ha messo la sua fragilità e la sua sensibilità al servizio del personaggio, è imbattibile nel mettere in scena l’emozione, la compassione, la tenerezza», replica Genovese, che malgrado la lunga carriera in queste settimane affronta diversi esordi.

Per la prima volta, infatti, il regista ha realizzato un film storico, la serie tv tratta dal best seller di Stefania Auci “I leoni di Sicilia” (Nord), in autunno su Disney +, di cui sono appena terminate le riprese, mentre ora è impegnato nelle prove della versione teatrale di “Perfetti sconosciuti”, che debutterà a Caserta a febbraio, per approdare ad aprile al teatro Ambra Jovinelli, a Roma. «La creatività va nutrita, fare cose nuove diventa l’unico mezzo per trovare energie. Tempo fa mi hanno chiesto di fare “Perfetti sconosciuti 2”, poi “Perfetti sconosciuti – la serie”, addirittura un gioco in scatola. All’epoca ho detto no perché non avrei trovato gli stimoli, ora li ho trovati con il teatro».

L’esistenza, in realtà, è costellata di prime volte. Scelte radicali, opportunità da cogliere, sfide inattese, eventi lieti e malattie, lutti che costringono a ripensare sé stessi, cambiare schemi, ricominciare da capo. Rinascere. Proprio come nel film “Il primo giorno della mia vita”. «Ogni volta che faccio una cosa per la prima volta sono terrorizzata. Le novità mi fanno paura, le affronto con sospetto e drammaticità», afferma l’attrice. Anche sul set? «Dopo il primo giorno di lavoro sono distrutta, non dormo per una settimana. All’inizio mi sento come in un luogo sconosciuto, un pianeta lontano abitato da gente strana. Poi mi abituo». Un’apprensione che per Buy non conosce confini, si estende dal lavoro alla sfera privata. «I viaggi? Ho sempre vissuto le novità tragicamente, rovinando la vita a tutti. La prima volta in aereo, in nave, in moto, un disastro». E il primo bacio? «Non ricordo, non ero io. Sicuramente qualcuno mi ha sostituito all’ultimo momento», taglia corto con un sorriso.

 

Nell’affrontare le novità non potrebbero essere più diversi, Buy e Genovese. Lei ansiosa e impaurita, lui intraprendente e coraggioso. «È la curiosità a spingere le mie scelte», dice il regista senza esitazione: «Di recente ho letto una vecchia intervista ad Albert Einstein in cui diceva: “La teoria della relatività non l’ho scoperta perché sono un bravo fisico, un bravo studioso o perché sono intelligente, ma perché sono mosso da una profonda curiosità”. Vale per l’arte, la politica e la vita privata».

La curiosità ha spinto Genovese a indagare un argomento molto scabroso, la scelta di togliersi la vita e la forza di ricominciare quando tutto sembra perduto. Il film, ambientato a Roma, alterna momenti cupi e improvvisi sprazzi di felicità, notti piovose e giornate di sole.

Qual è il rischio più grande nel narrare un tema così difficile? «È complicato raccontare la follia dell’istante in cui si prende la decisione di farla finita, la grande sofferenza che cova dentro una persona apparentemente normale. La maggiore difficoltà è risultare credibili», prosegue Buy. L’attrice si è trovata spesso a interpretare personaggi attraversati da una sofferenza profonda, come di recente Eleonora Chiavarelli, la moglie di Aldo Moro in “Esterno notte” di Marco Bellocchio, la serie in sei puntate su Rai1. «In quel caso è diverso: il dolore fa parte del dolore di una nazione intera, che ha spezzato il cuore di milioni di persone. Mentre il film di Genovese è una storia di fantasia», spiega Buy. Secondo il regista, invece, il pericolo più grande è risultare banali, ridondanti. Non a caso sulla sceneggiatura hanno lavorato a lungo.

«Paradossalmente il film parla di felicità, anzi il primo titolo era “Felicità”, poi suonava come una canzone dei Ricchi e poveri e lo abbiamo scartato». Una volta toccato il fondo, per fortuna, in molti casi scatta un meccanismo di autodifesa. «Accade qualcosa di miracoloso, una risata, qualcuno che ti fa risentire la voglia di andare avanti», riflette l’attrice. «Un istinto, non una capacità personale. Per quanto mi riguarda, a salvarmi sono le persone di che ho intorno, ad esempio mia figlia, non potrei mai darle un peso così grande. Non voglio giudicare, ma a volte la depressione è un atto di egoismo perché fai stare male le persone che ti sono vicine».

 

Senza arrivare all’estremo della depressione, gli stati d’animo che percorrono il film confinano con il malessere diffuso nel Paese. Gli italiani sono sempre più malinconici, secondo l’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. È una fotografia in cui vi rispecchiate? «Adoro la malinconia, ci sono nata, è il mio stato d’animo preferito, porta sempre a una riflessione. Diffido delle persone entusiaste, gli italiani malinconici mi piacciono», sottolinea Buy.

Genovese è più pessimista: «Magari fossimo malinconici, creativi, sento invece un Paese depresso. Non è un caso che il primo personaggio di questa storia, Napoleone (Valerio Mastandrea, ndr), trae spunto da una statistica secondo cui sette milioni di italiani soffrono di depressione. Un meccanismo arrendevole, che ci fa deporre le armi».

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