Simboli, storie, significati nascosti. Un patrimonio solitamente protetto. E ancora per poco interamente visibile

Entrare in una cattedrale non è entrare in un museo. Il turista non dovrebbe percorrere distrattamente uno spazio così ricco di simboli, ma farsi visitatore interessato a cogliere risonanze e suggerimenti di un luogo sacro. È difficile far cambiare passo a chi ha poco tempo a disposizione e scarsa voglia di intendere i fondamenti spirituali di un edificio che è come un libro da sfogliare con calma. Il Duomo di Siena vanta un pavimento che Giorgio Vasari, di norma avaro di lodi, giudicò «il più bello…, grande e magnifico… che mai fusse stato fatto» ed è consigliabile ammirarlo seguendo un preciso andamento per apprezzarne la scansione narrativa oltre che la stupefacente tecnica del “commesso marmoreo” e del graffito adottata. Impossibile dare tutti i nomi degli autori di un’impresa che dal Trecento all’Ottocento, a oggi, ha mobilitato un’infinità di artisti. Ora le tarsie si succedono le une alle altre e non sono avare di sorprese. Come in un puzzle le sagome delle figure sono accostate e saldate con stucco nero in modo da presentarsi come disegni, se non come pittura eseguita con una tavolozza di marmi policromi. Le prime si rifecero alle modalità del mosaico o all’incisione con scalpelli e trapani, mentre quelle del manierista senese Domenico Beccafumi, all’altezza del presbiterio, sfoggiano le delicate sfumature e le sfuggenti ombre di una tela o di una tavola lignea.

 

Vasari scrisse di una «pittura di pietra». A parte gli aspetti stilistici, conviene annotare qualche indicazione sulla sostanza del capolavoro, visitabile, a seguito della periodica scopertura – organizzata da Opera Laboratori su concessione dell’Opera metropolitana –, fino al 18 ottobre. Già, perché l’assurdità del grandioso progetto era la calpestabilità, che provocava logoramenti e obbligava a una costante manutenzione. Finché non si è deciso di proteggerlo e di tanto in tanto consentire di vederlo nella sua interezza.

 

L’invito che spicca sulla soglia è imperioso: «Ricordati di entrare castamente nel castissimo tempio della Vergine». Il tempio è intitolato alla Madonna, e forse è sorto dove prima si ergeva un più piccolo edificio in onore di Minerva. Chi s’inoltra iniziando dalla navata centrale s’imbatte in una scena che è la chiave di volta per mettere a fuoco i riferimenti ideali cui si ispira l’edificio, dal momento che nella tarsia d’avvio (eseguita nel 1488 da Giovanni di Stefano) campeggia Ermete Trismegisto, che consegna lettere e leggi agli egiziani. Costui è considerato l’autore del “Corpus Hermeticun”, quell’insieme di trattati alla base dell’ermetismo e del neoplatonismo. Ad esigerlo piazzato lì, in una solennità papale, fu il rettore Alberto Aringhieri, cavaliere di Gerusalemme: il quale volle la traduzione di quei testi decisivi per lo sviluppo dell’Umanesimo cristiano quattrocentesco che ebbe in Marsilio Ficino uno dei massimi teorici. Ciò mette in luce il tenace obiettivo di spingere ad un’armonia con l’Oriente, ad un pacificante universalismo.

 

Il pavimento del Duomo di Siena, con i suoi preziosi mosaici

 

Vi si avverte l’eco della cultura di Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, di suo nipote e di circoli che conferiscano ai prodromi del Rinascimento senese un’impronta tutt’altro che umbratile. Ficino coltivò la ricerca di una via che conciliasse platonismo e cristianesimo.

 

Marilena Caciorgna, a conclusione di un trentennale cursus di studi, ha sfornato un volume (edito da Sillabe) con un commento di esemplare puntualità sul pavimento e gli ha dato un’etichetta che più eloquente non potrebbe suonare: “Un libro di marmo”. Ogni iscrizione o epigrafe che accompagna la componente figurativa è ricondotta alla fonte (Lattanzio in primis) e spiegata con accanita filologia. La dimensione civica si alterna alle scelta di personaggi e degli episodi biblici in una prospettiva nutrita di Sapienza, che sfocia infine in una luminosa Religione davanti alla cappella del Voto.

 

Un solo racconto tratto dai Vangeli, da Matteo, si apre nel pavimento: la “Strage degli innocenti” comandata da Erode, e immaginata da Matteo di Giovanni, che aveva per l’horror una particolare predisposizione: evoca i primi martiri cristiani sacrificati al posto dell’infante Gesù. Nelle navate laterali sfilano dieci Sibille in vena di profezie che annunciano l’avvento del Cristo. Un riequilibrio al femminile rispetto a un compito che nella facciata è affidato a barbuti vegliardi? Almeno su una tarsia è necessario fermarsi: è l’ “Allegoria del Monte della Sapienza-Felicità”, eseguita da Bernardino di Betto, il Pinturicchio. È la quarta della navata centrale. Vi è rappresentato il faticoso raggiungimento della Felicità tramite la Virtù. La Fortuna ha le forme fascinose di una nuda fanciulla aggrappata a una vela gonfiata da tempestosi venti. Siamo in area machiavelliana: la Fortuna qui non è affidabile. E l’uomo può batterla se ascolta l’insegnamento di Socrate e se si libera dalla corsa al potere, come fa Cratete, che getta in mare una cesta di gioielli. Disfarsi delle ricchezze del mondo e guardare al cielo.

 

Sono tanti gli stranieri che sostarono a lungo osservando del pavimento dettagli e meraviglie. Talvolta connettendo le storie delle magistrali tarsie con la vicenda di Siena e prendendo lucciole per lanterne. Il francese Albert Robida nel 1875 annotò addirittura: «Il pavimento è un mosaico, si cammina su una serie di composizioni, scene della storia sacra e soprattutto della storia di Siena, a grandezza naturale. Mischie di Guelfi e Ghibellini, battaglie, supplizi, cadaveri appesi a una grande forca». Nemmeno per sogno! Il pavimento è una mappa che delinea dantescamente il cammino dell’invocata cristiana salvezza.