Intervista

Vincent Lindon: «Odiamo gli ultimi, i più poveri, i più deboli. Perché non vogliamo diventare come loro»

di Claudia Catalli   8 novembre 2023

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L'attore francese Vincent Lindon

Una carriera piena di ruoli battaglieri. Ora, nel film “Likea Son”, l’attore francese interpreta un prof che ritrova la passione per l’insegnamento quando incontra un ragazzo rom. E qui si racconta

«Il mio rapporto con il cinema italiano? Nel ’95 andavo sul set in vespa, recitavo con Luca Zingaretti e Sabrina Ferilli in “Vite strozzate” di Ricky Tognazzi, l’aiuto regia era Ferzan Ozpetek. Era un po’ tutto un casino (lo dice in italiano, ndr), ma lo adoravo. Dopo ho ricevuto tante proposte dai vostri registi, ancora aspetto che mi richiamino!». Non è uno che la manda a dire Vincent Lindon, la sua longeva carriera fatta di ruoli complessi e battaglieri lo dimostra: solo negli ultimi anni ha interpretato un operaio che si dà fuoco per protesta in “In guerra”, un pompiere disperato in “Titane”, un investigatore che indaga sulle truffe sul mercato delle emissioni di anidride carbonica nella serie in anteprima a Venezia “Of money and blood”. Qualche giorno fa ha presentato alla Festa del Cinema di Roma “Like a Son” di Nicolas Boukhrief, in cui veste i panni di un professore di storia che ha perso la passione per l’insegnamento e la ritrova grazie all’incontro con un quattordicenne rom sorpreso a rubare.

 

È un film sul crollo del sistema culturale e sociale: chi deve prendersi cura degli ultimi, alla fine dei conti, è il cittadino, non le istituzioni.
«Esatto, sono il primo a essere sempre molto critico nei confronti dello Stato. Il senso di umanità e generosità deve venire dai singoli cittadini, lo Stato dovrebbe aiutarli nelle loro iniziative di soccorrere a loro volta quelli che non ce la fanno».

 

L’adolescente che nel film sceglie di aiutare è un ragazzo rom. Il regista ha detto che i rom in Francia sono le minoranze più detestate, da dove nascono i nuovi rigurgiti di razzismo?
«Si diventa aggressivi e malvagi quando si ha paura. La paura genera violenza e la spirale di violenza non ha fine quando origina dall’odio verso la povertà. Finiamo per odiare gli ultimi, i più poveri, i più deboli, perché non vorremmo mai diventare come loro».

 

Come si è rapportato con Stefan Virgil Stoica, l’attore che interpreta il ragazzo rom?
«Benissimo, è stato molto bravo, è grazie a lui se il mio personaggio capisce che può tornare a insegnare e chiamare a raccolta le persone per trasmettere il sapere. Quanto a me, adoro recitare con gli adolescenti. Vivono quel periodo della vita in cui osano, sbagliano, mettono in discussione tutto e tutti, crescono. Poi ci sono anche quelli che si perdono, lì l’unico rimedio è l’istruzione».

 

Che tipo di adolescente è stato lei?
«Infelice. Faccio una rapida sintesi: genitori divorziati e assenti, cresciuto con le bambinaie, avevo dei tic, mi mangiavo le unghie ed ero iperattivo».

 

Diventare attore è stato terapeutico?
«Ha fatto in modo che gli altri si accorgessero di me, ma sarei potuto diventare anche un avvocato che salva qualcuno dalla pena di morte. Non mi è mai interessato il gusto effimero di apparire, come capita ai ragazzi oggi con i social, sentivo di valere e avere qualcosa da dire».

 

Ha definito questo film un atto politico. Il cinema ha ancora il potere di cambiare le cose?
«Ai tempi dei vostri Pasolini, Monicelli e De Sica era diverso, oggi non credo che un film possa cambiare le cose, ma le persone che vanno al cinema sì. Possono riattivare le coscienze e rimboccarsi le maniche. Vale per tutti, specie per i giovani».

 

Le nuove generazioni stanno vivendo grandi sfide: la crisi climatica, la pandemia, la precarietà del lavoro, i conflitti internazionali…
«Vivono una vita in guerra: la guerra per il lavoro, per il clima, le guerre in atto, una guerra perenne su tutti i fronti. Ma la sfida più grande è quella climatica: le generazioni precedenti hanno trovato un modo per reagire alle guerre, alle malattie e a tutto il resto, ma al disastro ambientale non c’è rimedio. I giovani oggi hanno un nemico contro cui non possono combattere: non puoi vincere sul vento, le inondazioni, i cicloni, gli tsunami. È la prima volta nella storia che le giovani generazioni sono costrette ad affrontare tutto questo, non è un caso se poi uno su due non vuole avere figli».

 

La preoccupa?
«Abbastanza, per questo trovo importante parlarne. La vera passione della mia vita non è il cinema, è la gente. Tutte le sere esco a prendermi un aperitivo solo per confrontarmi con gli altri, discutere senza schermi davanti. Amo non andare d’accordo e dibattere. Di persona, però, non dietro a uno schermo. Siamo in piena “guerra digitale”, tutto quello che diciamo o facciamo resta online per sempre. Chi viene accusato di molestie, anche se viene scagionato e dichiarato innocente, avrà sempre sulla biografia online scritto “abusatore”».