Idee
Leggere, rileggere, regalare: le strenne di Arabopolis per sognare, viaggiare e capire il mondo
Le Mille e una note. L'Iran delle donne. E poi l'Esodo e Said, per andare alle radici della guerra in Israele. Consigli di lettura della newsletter de L'Espresso sulla galassia culturale araboislamica
Partiamo dalla fine: i libri che segnalo in questo elenco - letture natalizie da regalare o da regalarsi in vista delle vacanze - non sono facili da trovare in libreria. Se accogliete il mio invito alla lettura e al regalo, fate in modo di procurarveli nel modo più favorevole alla protezione della biodiversità dell’offerta editoriale (cioè alla sopravvivenza delle librerie indipendenti): che significa contattare quella per voi più comoda da raggiungere, direttamente o attraverso la app di ordini delle librerie indipendenti, Bookdealer.
Per chi ha proprio fretta segnalo un libro solo, e anche facile da trovare: “Le mille e una notte” riscritte da Kader Abdolah (Iperborea). Non è soltanto una traduzione e una parafrasi del libro di favole più famoso del mondo: è un filo d’Arianna che vi consentirà di perdervi allegramente nel labirinto di narrazioni, con l’aiuto di intermezzi esplicativi che permettono a tutti i lettori di gustare al meglio racconti che, come ben sappiamo, hanno consentito alla più famosa narratrice della storia di schivare una continua condanna a morte.
Per chi ha più tempo, ecco una serie di percorsi ragionati.
ROMANZI E ROMANZONI. La fine dell’anno è il momento giusto per immergersi nelle mille pagine di “Il libro di Jakub” di Olga Tokarczuk (Bompiani): la storia picaresca (e vera) di Jakub Frank, giovane ebreo polacco che vuole cambiare il mondo, viaggia tra l'Impero ottomano e quello asburgico, e diventa un messia eretico e potentissimo, geniale sia nel periodo di potere che nella caduta in disgrazia. Lo si direbbe un libro da Nobel, se Tokarczuk il Nobel non lo avesse già vinto…
Viaggiano molto, ma per colpa della guerra, anche i due protagonisti del bellissimo “Il mondo e tutto ciò che contiene” di Aleksandar Hemon (Crocetti): Pinto e Osman sono due giovani soldati, uno ebreo e l’altro musulmano, sballottolati da Sarajevo fino in Cina durante la Prima guerra mondiale, che fa da tragico sfondo alla loro sofferta storia d’amore. È un romanzo d’amore anche “Lettera d’amore e s’assenza” di Sarai Shavit (Neri Pozza), dove la scrittrice considerata una delle migliori voci della nuova narrativa israeliana costruisce una storia in due tempi, tra passione e rimpianto, abnegazione e menzogna.
Jokha Alharti , vincitrice del Booker Prize International con “Corpi celesti”, torna con “L’albero delle arance amare” (Bompiani), un romanzo di formazione che segue la protagonista tra l’Oman della sua nascita e della famiglia e l’Inghilterra dove studia e si prepara per un futuro dilaniato tra progetti personali e obbedienza alle tradizioni. David Diop, che conosciamo per il ritratto bruciante dei soldati senegalesi sfruttati dall’esercito francese nella Prima guerra mondiale (“Fratelli d’arme”), si concede un sogno in “La porta del non ritorno” (Neri Pozza): ripercorre le avventure di un botanico-esploratore francese del Settecento e immagina come sarebbe stata la sua vita se non avesse dovuto sottomettersi ai dogmi del colonialismo.
“Quando eravamo sorelle” di Fatimah Asghar (66thand2nd) segue invece tre giovani americane rimaste orfane e affidate a uno zio che le trasporta in un attimo dal sogno americano alle tradizioni del Pakistan più misogino e retrivo. Fa la spola tra Germania e Iran invece “Di notte tutto è silenzio a Teheran” di Shida Bazyar (Fandango): questo diario di famiglia affidato a cinque personaggi a distanza di dieci anni l’uno dall’altro è il primo romanzo della scrittrice che ha conquistato i lettori italiani con “Fuoco”, originalissimo mix di cronaca nera ai danni dei migranti ed “empowerment” di un terzetto di amiche che sembrano la versione politicizzata di Bridget Jones & Co.
STORIA E GEOGRAFIA. Macedoni, fenici, punici: sono stati i primi ad esplorare il mondo, prima ancora dei greci e dei romani, raggiungendo il Mar dei Sargassi e l’Himalaya, lo Sri Lanka e forse anche l’America: lo racconta Marcello Valente nella sua “Storia del mondo antico in 25 esplorazioni” (il Saggiatore). Maria Favereau invece riabilita un popolo considerato capace solo di distruggere: “L’Orda” (Einaudi) segue due secoli di storia per raccontare «come i Mongoli cambiarono il mondo»: portando non solo l’abilità militare ma anche un’amministrazione duttile ed efficiente e un’apertura ai rapporti con popoli e società diverse, quasi una forma di globalizzazione ante litteram.
Chi ama l’Iran sarà felice di approfondirne la conoscenza attraverso racconti (“Iran under 30”, curato da Giacomo Longhi per Polidoro), poesia (“Io parlo dai confini della notte” di Forugh Farrokhzad, Bompiani) e saggistica (Luciana Borsatti, “Iran, il tempo delle donne", Castelvecchi). William Atkins racconta fascino e segreti dei deserti più aridi della terra (“Un mondo senza confini”, Adelphi); Jean-Loup Amselle ricostruisce le invasioni e gli sfruttamenti che hanno portato a quel capitolo fondamentale della colonizzazione che è “L’invenzione del Sahel” (Meltemi); Luca Peretti cerca in Algeria le tracce del film mai fatto di Gillo Pontecorvo sull’Eni (“Un dio nero e un diavolo bianco”, Marsilio); Lucie Azema ricostruisce “Le strade del tè” (Tlon) passando dall’epoca delle carovane alla colonizzazione per arrivare al presente e a noi, al valore di una bevanda che simbolizza sempre passione per il viaggio e conforto della casa, l'insolubile tensione tra il qui e l’altrove. Quel grandissimo scrittore di viaggio che è Jan Brokken (“Anime baltiche”, “L’anima delle città”) invece scava nel passato di famiglia per ricostruire, ne “La suite di Giava” (Iperborea), i dieci anni vissuti dalla madre in Indonesia: anni pieni di interessi e di passioni, vissuti con grande intensità e mai raccontati al figlio nato dopo il ritorno in Olanda.
Ma il regalo più adatto per chi scrive – come chi mi segue sa, ho una passione per Tutankhamon che mi ha portato a dedicargli un libro e un podcast – è il volume illustrato in cui Christian Greco, coltissimo ed entusiasta direttore del Museo egizio di Torino, porta con sé il lettore ai primi del Novecento per farlo partecipare “Alla ricerca di Tutankhamun”, la scoperta archeologica che ha cambiato il mondo (Franco Cosimo Panini).
ISRAELE/PALESTINA. È particolarmente triste quest’anno festeggiare un bambino nato duemila e rotti anni fa in una terra che, con la guerra seguita al massacro del 7 ottobre, è più martoriata che mai. Può aiutare allontanarsi nel tempo, andando alle radici della questione: in particolare al libro della Bibbia, “L’Esodo”, in cui Jahvè salva gli ebrei dalla schiavitù d’Egitto e li conduce nella Terra Promessa. Se ne è occupato di recente Jan Assman, egittologo che nel testo biblico - che dà il nome al suo saggio pubblicato da Adelphi - vede «una svolta paragonabile solo ai grandi salti evolutivi che conducono all’uomo attuale» e lo esamina alla luce della cronologia dell’antico Egitto.
Il valore simbolico di questo testo lo mostra invece la pastora battista Lidia Maggi in “Esodo, La grammatica della libertà” (Claudiana): l'Esodo diventa un invito per tutti a spezzare le catene e a confidare nella possibile sconfitta dei signori della guerra: «È un libro che prova a strapparci all’indifferenza, che insegna a indignarsi di fronte all’ingiustizia, mostrando il mondo dalla prospettiva della vittima».
Invece il valore pratico, che fa dell’Esodo e di altri testi della Bibbia il fondamento dell’esistenza dello Stato di Israele, è al centro di un libro breve e interessantissimo: “La terra di Dio in prestito”, del teologo americano W. Eugene March (Claudiana). Si riprende la lettera della “promessa” di Jahvé, si inquadra il ritorno dall’Egitto nella storia dell’epoca (e ci si chiede in particolare che fine abbiano fatto i cananei, che abitavano la Palestina durante il periodo di schiavitù del popolo ebraico...). «La ricerca di una pace giusta in Medio Oriente implica la conoscenza della storia dei popoli di quella regione», scrive l’autore. «Tuttavia il principio che guida questa ricerca si può applicare a qualsiasi conflitto riguardante la terra».
Riportano invece all’ultimo secolo di storia, e alle radici recenti della cronaca, tre saggi proposti dal Mulino: “Il conflitto arabo-israeliano”, di Thomas Fraser (storia dei conflitti nella regione dalla nascita dello Stato di Israele), “Israele e Palestina: la forza dei numeri” di Sergio Della Pergola, docente all’università di Gerusalemme, (che inquadra «il conflitto mediorientale fra demografia e politica» spiegando che «Israele non potrà essere contemporaneamente grande, ebraica e democratica. Sarà necessario rinunciare almeno a una di queste tre prerogative») e “L’arte della guerriglia” di Gastone Breccia, che analizza le strategie simili usate nel corso dei secoli, dagli indiani d’America o nella giungla birmana, a Gaza o in Afghanistan: «Guerriglia è la lotta ingaggiata dal più debole con tattiche elusive: attaccare i punti deboli del nemico e fuggire».
Ha il sapore di un viaggio ormai impossibile il volume “Palestina” della collana The Passenger di Iperborea; cerca una via d'uscita costruttiva “L'urlo. Israele e Palestina. La necessità del dialogo nel tempo della guerra” di Tahar Ben Jelloun (La Nave di Teseo); ci riporta alla nascita del muro di diffidenza tra islam e Occidente della paura dell’islam “Lutero e l’Islam”, curato da Paolo Ricca per Claudiana. E mentre torna in libreria un classico intramontabile come “La questione palestinese” di Edward Said (Il Saggiatore), il volume più adatto a figurare sotto l’albero di Natale è probabilmente il diario del recente pellegrinaggio in Terra Santa di Eric-Emmanuel Scmitt: “La sfida di Gerusalemme” (e/o), con il suo messaggio di speranza e di rispetto reciproco tra le “tre religioni del Libro”.