Nella prigione della Giudecca le detenute incontrano e interrogano scrittrici e scrittori. E mentre si appassionano ai libri suggeriti, condividono pensieri, emozioni, vita

Sulla copertina del libro si vedono due gambe nude, una mano che tiene una sigaretta tra due dita, un posacenere pieno, una guida di Berlino. Non per tutti è chiaro se si tratti di una donna o di un uomo. «Come mai hai scelto di rappresentare una figura umana così ambigua? Volevi farlo o ti è venuto solo un po’ male il disegno?», chiede l’intervistatrice all’autore. «È una donna la protagonista», spiega l’illustratore Manuele Fior, aiutando a interpretare la copertina del suo ultimo lavoro, “Hypericon”. «Ma la prossima volta mi impegnerò di più», aggiunge sorridendo.

 

Ci troviamo nella sala colloqui della Casa di reclusione della Giudecca, il carcere femminile di Venezia. I presenti, una cinquantina di persone, sono concentrati, attenti, partecipi in un modo che forse molti avevano dimenticato. Tre o quattro guardie in divisa assistono in piedi all’incontro.

 

A condurre l’intervista all’autore sono Daiana e Georgiana, due detenute, coinvolte nel gruppo di lettura di Closer. L’associazione ha inventato un format, “Interrogatorio alla Scrittura”, in cui sono le ospiti della casa di reclusione a interrogare scrittrici e scrittori.

 

Per più di un mese, grazie alle visite settimanali dei volontari di Closer, hanno lavorato alla preparazione di questo incontro. Il numero delle partecipanti varia ogni volta, come agli incontri, dove qualsiasi detenuta può partecipare, dopo aver chiesto l’autorizzazione. I volontari propongono un libro, ne portano alcune copie da lasciare in biblioteca, mentre le detenute lo leggono, se lo passano, danno forma a dubbi e curiosità. Preparare un’intervista, dal carcere, è più complicato: le detenute non hanno accesso a internet, dunque non c’è modo di avere informazioni sugli autori. Accade che qualcuna si appassioni talmente a un libro da non volerlo più restituire. «A me non piace tanto leggere, ma mi piace molto scrivere», confessa Daiana. «Scrivo delle lettere, alla mia famiglia, a mia figlia, a mio marito. Tengo anche un diario e quando scrivo mi commuovo».

 

Fin dall’inizio, l’intento di Closer, associazione nata tra alcuni studenti universitari nel 2016, è stato quello di creare un dialogo tra l’interno e l’esterno del carcere, tra le detenute del carcere femminile e la città di Venezia. Tra i progetti più recenti, c’è stato il laboratorio musicale con il cantautore Jack Jaselli, che ha realizzato una canzone scritta assieme alle donne del carcere, esperienza diventata un documentario televisivo. Poi c’è Piombi (dal nome delle antiche carceri di Palazzo Ducale), newsletter ideata durante la pandemia, quando l’ingresso nelle carceri da parte di persone esterne è stato molto limitato.

 

Il lavoro di Closer è andato a inserirsi nel solco già tracciato da alcune realtà che portano avanti progetti all’interno dei due istituti penitenziari di Venezia, il carcere femminile e quello maschile di Santa Maria Maggiore. La cooperativa Il Cerchio gestisce la lavanderia che ha come clienti molti hotel in città e un laboratorio di sartoria, mentre Rio Terà dei Pensieri ha avviato l’Orto delle Meraviglie negli spazi della casa di reclusione della Giudecca e un laboratorio di cosmetica; nel carcere maschile produce borse riciclando pvc, accessori e stampe su tessuto nella serigrafia. C’è un’associazione di volontariato, Il Granello di Senape, che da metà anni Novanta opera in questi spazi, gestendo la biblioteca, collaborando alla spesa alimentare per le detenute, aiutando chi esce dal carcere a trovare un’occupazione. Poi c’è Balamos, che in carcere porta dei laboratori teatrali.

 

«Diamo la possibilità di entrare in carcere a dei cittadini che normalmente non hanno neanche idea di dove si trovi», riflette Giulia Ribaudo, socia fondatrice di Closer. Dal 2016, almeno un migliaio di persone è entrato nella Casa di reclusione che si trova nell’isola della Giudecca, negli spazi dell’ex convento delle Convertite. Tra gli ospiti di Interrogatorio alla Scrittura ci sono stati Giorgio Fontana, Violetta Bellocchio, Melania Mazzucco, Vanessa Roghi, Eraldo Affinati, Veronica Raimo, Vera Gheno e molti altri.

 

Alcuni degli incontri sono stati organizzati in collaborazione con Incroci di Civiltà, festival letterario promosso dall’università Ca’ Foscari. Sono moltissime le relazioni avviate in città, l’ultima è quella con il museo Guggenheim, che ha offerto biglietti per le sue mostre.

 

Nel libro illustrato da Fior, che da un paio d’anni vive proprio a Venezia, si sovrappongono le storie di Teresa, archeologa che si trasferisce a Berlino dopo aver vinto una borsa di studio, Ruben, giovane scapestrato (e mantenuto) che vive in una casa occupata, e la vicenda di Howard Carter, l’egittologo britannico a capo della spedizione che scoprì la tomba di Tutankhamon: collante della narrazione è il fiore d’iperico, pianta curativa che ha attraversato i secoli. Teresa a un certo punto spiega la concezione del tempo che sosteneva la civiltà dell’antico Egitto: a differenza nostra, per gli Egizi il futuro è ignoto e dunque si trova alle nostre spalle, mentre c’è il passato davanti a noi, lo conosciamo già, è sempre visibile. «Per noi sarebbe un incubo», afferma Daiana.

 

La protagonista del libro, durante una notte insonne, si chiede: «Cosa ci faccio io qui?». «Anche noi ci facciamo questa domanda costantemente», racconta Daiana. Nessuno sa quali reati abbiano commesso le detenute che si trovano qui dentro. E Georgiana domanda ai presenti: «E voi perché siete qui?». Il pubblico si apre, risponde in modo schietto. Una signora, venuta qui da una città vicino, si confida: «Io non ero mai stata in carcere prima, ma la mia vita è stata a volte come un carcere». C’è chi in carcere insegna, chi sta lavorando per portarvi dei progetti artistici, chi è qui perché vuole scoprire com’è la vita di chi si trova al di là delle finestre sbarrate della casa di reclusione.

 

Come rifletterà più tardi Manuele Fior, «in queste occasioni il dialogo è provare a creare un ponte tra cose molto distanti, tra vite forse inconciliabili, ma cerchiamo di far sì che queste due visioni guardino per un momento nello stesso punto. Come nel libro, sembra che delle cose siano lontane e invece in realtà sono vicinissime». Perché questi sono scambi che creano legami, assottigliano la barriera con una realtà carceraria nella quale, nel 2022, ci sono stati 84 suicidi.

 

A incontro terminato, ci si dà appuntamento alla prossima presentazione. Le detenute tornano alle loro celle, dove dormono in quattro, in sei, in nove. Tutti gli altri, in pochi minuti si ritroveranno fuori, sulla Fondamenta de le Convertite. Nessuno sembra avere fretta di andarsene.