Cultura
Come sarebbe andata la storia se non ci fosse stato Adolf Hitler?
O se gli Usa avessero sganciato un’atomica sulla Germania. Oppure se non fosse caduto il muro di Berlino. Una mostra sulle “sliding doors” che hanno cambiato il mondo
Qualcosa dentro di noi ci spinge ad immaginare la storia umana come un congegno ad orologeria. Le componenti sono i cosiddetti “fatti storici”, tutti connessi fra loro e in movimento. «Questa visione della storia come un meccanismo lineare e puntato a una meta è falsa, e soprattutto controproducente», inizia a dire lo storico Dan Diner introducendoci alla mostra che ha curato al Deutsches Historisches Museum di Berlino. La mostra si intitola “Roads not taken”. Sottotitolo: “Ovvero: come tutto sarebbe potuto accadere diversamente”. E in quattordici tappe, dal novembre 1989 in cui crolla il Muro di Berlino, illustra come si sarebbero potuti svolgere altrimenti gli ultimi 150 anni di storia tedesca.
«Il primo effetto della mostra», specifica Diner, «è spiazzare il visitatore, che si aspetta nell’esposizione un filo cronologico». E invece no: dalle prime foto e documenti dei cortei di protesta a Lipsia e Berlino, nell’autunno 1989, andiamo all’indietro agli anni del 1968 e di Willy Brandt; e poi più giù ancora, sino ai moti rivoluzionari del 1848. Ogni passaggio è diviso in due parti, per farci intravedere, accanto a ciò che è stato, come i fatti si sarebbero anche potuti svolgere.
Ad esempio: se nel novembre 1989 il regime della Ddr non avesse aperto il Muro, ma seguito la linea dura cinese, e cioè la repressione della rivolta come sulla piazza di Tienanmen? «La repressione delle proteste a Lipsia e Berlino era già programmata dal regime della Ddr», ricorda Diner, «e a Berlino est avevano già dato l’ordine di distribuire le munizioni ai soldati». Basta grattare un po’ la superficie degli eventi per scoprirne i punti casuali e di svolta in cui «tutta la situazione», spiega Diner, che ha insegnato storia all’università di Gerusalemme e di Lipsia, «sarebbe potuta configurarsi diversamente». In realtà sono solo le nostre paure che ci portano a pensare al futuro come a una catena di fatti. «Ma da questa mostra sulla storia tedesca emerge come al fondo degli eventi ci sia sempre tanta contingenza», precisa Diner. Prendiamo i due passaggi che Diner - di cui Bollati ha di recente pubblicato “Tutta un’altra guerra”, la seconda guerra mondiale vista dalla Palestina ebraica - considera i più densi. L’8 maggio 1945, il giorno in cui i nazisti firmano la capitolazione incondizionata. «Il piano degli americani era di sganciare la prima bomba atomica sul centro industriale di Ludwigshafen», racconta lo storico: «Ancora oggi i tedeschi nutrono una paura della bomba atomica come nessun altro popolo in Europa».
Quel maggio del 1945 è uno dei momenti-limite in cui si percepisce davvero quel che sarebbe potuto accadere - in questo caso, la distruzione atomica della Germania - se non si fosse giunti alla capitolazione. L’altro momento decisivo è l’attentato a Hitler, organizzato ma non riuscito, dal colonnello von Stauffenberg il 20 luglio del 1944. «Nella mostra non si vedono grandi immagini dell’Olocausto», dice Diner. «Mi sono concentrato sull’attentato del 20 luglio per far vedere che a quella data la distruzione degli ebrei in Europa era già avvenuta».
Nei momenti più intensi della storia non cogliere l’opzione, o agire tardi può causare effetti disastrosi per l’umanità. «Volevo scuotere il senso del visitatore per la storia», insiste Diner, «far vedere come la contingenza e quindi la possibilità di alternative siano sempre aperte e siano atti di volontà politica». Nulla meglio, o forse peggio del momento più nero della storia tedesca, il 30 gennaio 1933, l’istante in cui Hitler sale al potere a Berlino, mostra come opera la contingenza nella storia. Con vari grafici e film rivediamo in mostra l’enorme tsunami della crisi mondiale, innestato dal crac alla Borsa di New York nell’ottobre 1929.
«Ma non dimentichiamo che sino al 1929 Hitler era solo un’attrazione bavarese e in Germania non contava nulla», spiega Diner. Cosa ha portato il caporale austriaco nel giro di tre anni a conquistare il potere? I documenti esposti spiegano le disastrose conseguenze della crisi globale negli ultimi anni di Weimar. L’esercito di 6 milioni di disoccupati in Germania. L’inflazione che straccia la valuta tedesca e i risparmi del ceto medio. «Ma ancora nel dicembre del 1932 il partito di Hitler era dilaniato da tensioni e in piena crisi finanziaria, e Hitler minacciò di risolvere i problemi in tre minuti, suicidandosi con un colpo di pistola». Come annotò Goebbels, futuro ministro della propaganda del Terzo Reich, l’avvento al potere del ’33 fu «ein Wunder», un miracolo. Ma una specie di miracolo è anche la metamorfosi nel dopoguerra dei tedeschi - almeno quelli dell’Ovest - a partire dall’era Adenauer. Sino a trasformarsi oggi nella prima potenza economica e nell’ancora della stabilità politica in Europa.
Tutte queste svolte della storia tedesca ci fanno toccare con mano come i cosiddetti fatti storici «non siano legati da nessuna finalità prefissata», conclude Diner.
«Negli eventi è in gioco la libertà e la responsabilità politica che dobbiamo assumerci di fronte alle vie della storia». Ed è questo il “fantasma”, come lo chiama Diner, che aleggia per la sua mostra. «Il fantasma è chiaramente l’Europa dell’est. Cosa stiamo facendo oggi, nel 21° secolo, per evitare che l’Europa dell’est riprecipiti nella barbarie del nazionalismo più gretto e reazionario del ventesimo secolo?». Ecco perché comprendere il senso della storia è importante e aiuta ad assumersi le proprie responsabilità: per evitare la catastrofe che incombe sull’Ucraina.