Premiato a Venezia e ora candidato a ben nove Oscar (film, regia, sceneggiatura, quattro attori, musica, montaggio), “The Banshees of Inisherin” è una specie di summa dell’arte di McDonagh, il drammaturgo e regista inglese di origini irlandesi noto per “In Bruges” e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Una commedia nero pece sull’orgoglio (e l’amore) ferito. Ma anche una scoperta metafora della nostra incapacità di vivere in pace. Animata dalla vera specialità di McDonagh: dialoghi lievi ma densi, sferzanti, esplosivi. Come tutto questo film ambientato su un’immaginaria isoletta irlandese nel 1923, in piena guerra civile.
Anche se i cannoni rombano in lontananza e a Inisherin tutto procede come sempre. Fino al giorno in cui il massiccio Colm (Brendan Gleeson) decide di chiudere col vecchio amico Pádraic (Colin Farrell). Di colpo, senza ragioni. Se non quella, dura da digerire, che il tempo passa, Colm non è più un ragazzo e anziché cianciare al pub vuole pensare, suonare il violino, scrivere canzoni.
Questo l’avvio di un film che procede di sorpresa in sorpresa muovendosi tra pochi ambienti e un pugno di personaggi suggestivi. Siobhàn, la sorella di Pádraic (Kerry Conlon), bellezza solitaria e amareggiata. Dominic (Barry Keoghan), figlio del poliziotto locale, meno tonto di quanto sembri. E le tipiche figure di un posto simile, il padrone del pub, la bottegaia pettegola, il prete, una vecchia forse un po’ strega. Più un cane e un’asinella, decisivi. Tutti capaci di “suonare” una musica familiare e insieme nuova, dai toni via via più allarmanti.
Con qualche nota brusca (“Tre manifesti” era più fluido, la mitologia del poliziesco offre appigli più solidi e condivisi), ma la stessa capacità di tuffarci dentro l’onda lenta del male che si propaga. Per capriccio, per partito preso, perché così va il mondo. Senza perdere lo humour tipico di questo autore che qui gioca a carte scoperte, spingendo verso la parabola il suo gusto per i microcosmi mèta-storici. Trainato da questi due amici-nemici costruiti per incarnare esigenze opposte e complementari. Che qui sono l’isolamento e la semplicità, la ricerca interiore e la vita quotidiana, l’ambizione personale e la semplice bontà. Ma potrebbero anche essere differenze sociali, etniche o religiose.
Lettera o metafora, dunque? Amicizia tradita o allegoria della guerra civile (di ogni guerra civile)? McDonagh giustamente non si scopre. Ma le Banshees, annunciatrici di sventura nella mitologia celtica, avranno il loro bel da fare.
Gli spiriti dell’isola
di Martin McDonagh
Gb-Irlanda-Usa, 114’
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ENTUSIASTI E PERPLESSI
Mentre gli autori dell’Anac chiedono che in sostegno alle lotte contro il regime iraniano la Rai trasmetta “Il male non esiste” di Mohamad Rasoulof, appena scarcerato, Fuoriorario (Raitre) propone tra il 10 e l’11 febbraio due Panahi inediti in tv, “Taxi Teheran” e “Tre volti”. Sperando che nel frattempo il grande regista torni libero.
Certo, sono le leggi del mercato, come no. Ma far uscire solo dal 12 al 14 febbraio il Leone d’oro “Tutta la bellezza e il dolore” di Laura Poitras, docu sulla grande fotografa Nan Goldin, la sua arte e le sue lotte, è davvero inaccettabile. E se poi vince un secondo Oscar dopo quello di “Citizenfour”? Sarebbe una bella nemesi.