Le poltrone simbolo delle lotte femminili. La noia. Il diritto all’incoerenza. Parla uno dei designer italiani più apprezzati: «Il futuro è donna. E la capacità di progettare al femminile è il nuovo traguardo da raggiungere»

«Quando andavo a scuola non sopportavo un insegnante e lui non sopportava me, discutevamo di continuo. Un giorno, però, si andò oltre e per evitare di prendermi uno schiaffo, glielo diedi prima io. Il risultato di quel gesto non certo elegante, ma automatico e fatto solo per difendermi, fu l’espulsione immediata dalle scuole pubbliche e l’iscrizione in una privata per sole donne». Quando inizia a raccontare della sua vita passata come di quella presente, Gaetano Pesce, uno degli architetti e designer italiani più conosciuti, amati (e copiati) al mondo, si lascia andare a monologhi che uno vorrebbe non finissero mai.

 

 

 

 

«Ero l’unico maschio e lì dentro, stando quotidianamente a contatto con centinaia di loro, ho capito l’elasticità del pensiero femminile e la grande capacità che hanno nel poter aiutare il mondo». Pesce ogni tanto si interrompe, ci chiede se ci stiamo annoiando («la noia è stata ed è una delle mie preoccupazioni quotidiane, mi fa soffrire se arriva ed è per questo che la combatto facendo più cose insieme»), per riprendere dove ci aveva lasciati.

 

«Oggi più che mai penso che il futuro è donna e la capacità di progettare al femminile sia il nuovo traguardo da raggiungere. La geometria di cui si serve l’architettura, ad esempio, è molto rigida ed esprime il dogmatismo la ripetitività, l’austerità e la durezza del pensiero maschile, mentre il pensare al femminile è un pensare multidisciplinare, un pensare aperto alle diversità, a qualità o valori che oggi rimangono ancora relegati nel privato mentre invece dovrebbero entrare anche nella sfera pubblica. Siamo tutti diversi ed è questa la nostra qualità distintiva, altrimenti siamo solo una copia. Se continuiamo a mortificare le diversità, finiremo in una dittatura, il pericolo più grande per la totalità». Secondo Pesce, questo modo di pensare può arricchire la nostra vita e migliorarla: «Se guardiamo alla politica, ci sono politici donne che svolgono molto bene la propria funzione e in un certo senso sono migliori dei colleghi maschi. Non sono un fan di Meloni, ma sono contento che l’Italia abbia finalmente un primo ministro donna. Non è questione di essere di destra o di sinistra: io farei più un distinguo tra chi ama il futuro e chi non lo ama. Abbiamo dimostrato che anche da noi è possibile far arrivare le donne al potere. Hanno più energia di noi, ma in cambio, invece di essere giustamente considerate e protette, vengono quotidianamente ammazzate».

 

Ogni riferimento ai recenti omicidi a Roma, in Puglia e nel milanese non sono puramente casuali. Il designer ligure (è nato a La Spezia), che dal 1983 vive a New York, non è nuovo a certe tematiche, visto che sin dall’inizio della sua carriera ha sempre dato la giusta attenzione e importanza alla donna e al suo mondo realizzando opere che sono diventate cult, riproposte nel corso degli anni. Su tutte la “Poltrona Donna” (come è chiamata dai più) della Serie Up disegnata nel 1969 per B&B Italia che di recente ha ricevuto il Compasso d’Oro alla carriera del prodotto.

 

«Up #5 è stato il primo prodotto di design industriale portatore di un messaggio politico», aggiunge Pesce: «Con la seduta incatenata al suo pouf di forma sferica, simbolo della donna prigioniera dei pregiudizi maschili, vittima delle sue violenze e priva degli stessi diritti universali».

 

Al Salone del Mobile del 2019, quello pre-Covid, per celebrarne i cinquant’anni l’ha riproposta in una versione alta otto metri esponendola in piazza del Duomo, a Milano, chiamandola “Maestà Soffrente”, «per ricordare a tutti che quasi niente in merito è cambiato». All’ultima edizione del 2023, invece, dopo aver già creato “Come Stai?”, un’opera d’arte temporanea site-specific per il set della sfilata Bottega Veneta Summer ’23, ha continuato il dialogo con quella maison di moda creando per il negozio milanese in via Montenapoleone “Vieni a Vedere”, installazione immersiva con due borse realizzate dai suoi disegni, protagoniste assolute, assieme ai visitatori, in una suggestiva grotta in resina e tessuto volta a far scoprire il linguaggio della rappresentazione.

 

L’arte e l’architettura, in tal senso aiutano, ma bisogna fare attenzione, precisa lui che proprio con le sue opere - bicchieri, vasi, divani, sedie, gioielli, tavoli, piatti, lampade, scaffali, case e palazzi – ha voluto sempre innescare un processo di interpretazione della forma potenzialmente illimitato. Una pratica, la sua, rimasta negli anni provocatoria fino a sfidare le nozioni ampiamente diffuse di convenzione, utilità e buon gusto. «L’architetto deve possedere più linguaggi quanti sono i luoghi che costruisce, deve interpretare l’anima del luogo. L’arte è un mondo per specchiare la realtà e dire il nostro pensiero».

 

«La sto annoiando?», ci chiede ad un certo punto il designer, ricordandoci che è appena uscito il suo nuovo libro, “The Complete Incoherence” (Monacelli). «Rivendico il mio diritto di essere incoerente anche perché essere incoerenti è la prima libertà di essere sé stessi», conclude: «Alla mia età, poi, posso dire molte più cose di quante non ne dicessi prima, e ne ho dette eh! (ride). Alla vecchiaia, come alla fine, non penso mai: ricevo segnali che esiste, diventa sempre più presente nel fisico, ma il cervello resiste e gliene sono grato».