intervista
«Dopo aver capitalizzato il potere per anni adesso noi uomini dobbiamo comprendere la battaglia delle donne e sostenerle il più possibile. Parla l’attore spagnolo che interpreta re Tritone nel film “La Sirenetta”
di Claudia Catalli
«Sono stato cresciuto da una donna, mia madre, e ho sempre pensato che il mondo sarebbe un posto decisamente migliore se fosse governato dalle donne». Lo dice convinto l’attore spagnolo Javier Bardem, marito di Penelope Cruz e padre di Leonardo, 12 anni, e Luna, 10 anni. Ha portato tutta la sua esperienza quotidiana di paternità nel Tritone iperprotettivo che interpreta nel live action Disney “La Sirenetta”, personaggio a cui dà uno spessore umano e artistico notevole, rendendolo addirittura commovente. Più avanti lo vedremo nell’atteso sequel di “Dune” di Denis Villeneuve con Timothee Chalamet.
Come attore sembra molto interessato a film pensati per dialogare con le nuove generazioni.
«Ho 54 anni, i miei figli ne hanno 12 e 10, mi sembra d’obbligo essere disponibile a imparare da loro, a riaggiustare il tiro della società per loro che la compongono, la reinventano e vedono già il mondo in modo molto diverso da come lo vedevamo noi».
È un bene?
«Certo, se c’è una cosa che ho capito come genitore è che per quanto ci provi non arriverei mai a far diventare mia figlia o mio figlio la persona che voglio io, ed è un bene, perché sarebbe un fottuto errore. Siamo stati figli a nostra volta, abbiamo già completato quel percorso di ricerca della nostra identità, ora è il momento di lasciare spazio a loro, nell’assoluta libertà di poter decidere da soli chi essere e chi amare».
Come ha lavorato sulla figura di re Tritone?
«All’inizio mi metteva pressione l’idea di interpretare un personaggio iconico amato da tante generazioni. Appena messo il piede sul set mi sono lasciato andare, più del suo ruolo di sovrano mi interessava restituire l’umanità di un padre che nel riunire tutte le sue figlie sirene, provenienti da mari diversi, si rende conto d’improvviso che la sua figlia più piccola sta diventando una donna, con desideri e obiettivi tutti suoi. All’inizio non la vede nel modo che merita, non la ascolta, vorrebbe che diventasse la persona che dice lui. Deve imparare a rispettarla come padre e come uomo».
È una metafora forte: il patriarca potente viene messo in discussione dalla ribellione e dalla lotta di emancipazione di sua figlia.
«È quanto sta accadendo alla società contemporanea. Dopo aver capitalizzato il potere per anni adesso noi uomini dobbiamo comprendere la battaglia delle donne e sostenerle il più possibile, le lotte per i loro diritti devono diventare le nostre, è tempo di trasformarsi come persone e come società».
Per questo ha accettato un film come “La Sirenetta”, per la sua portata politica?
«Trovavo potente l’idea di inclusione e diversità per comunicare l’urgenza di creare ponti di comprensione tra popolazioni che si suppongono nemiche, in questo caso umani e creature marine. Attraverso film come questo di Rob Marshall ai giovani e alle loro famiglie dovrebbe essere chiaro che non dobbiamo temere quello che non conosciamo, non dobbiamo attaccare l’altro, lo straniero, per quanto temibile possa sembrare: proviamo a conoscerlo e a capirlo, anziché combatterlo».
Si parla anche della salute degli oceani.
«Mi è piaciuta la scena in cui il Tritone e le sue figlie puliscono i fondali dell’oceano, sottolineando la responsabilità degli umani nel distruggere la bellezza di un mondo tanto affascinante. È fondamentale che i milioni di spettatori che guarderanno il film, di ogni età, si rendano conto di che tipo di pianeta vogliamo consegnare ai nostri figli e nipoti».
Delle polemiche razziste sulla prima sirenetta nera che cosa ha pensato?
«Non c’è Sirenetta migliore di Halle Bailey al mondo: lo dico da attore, il suo lavoro è stato incredibile, ha una grande voce e un grande cuore, ha reso tutto più luminoso e prezioso. Al di là del colore della nostra pelle contano le nostre azioni: Ariel è una adolescente che decide di diventare la donna che vuole lei, arriva a contrapporsi al padre per farlo, perché non vuole essere ingabbiata, è decisa ad ottenere ciò che desidera. Non un principe, ma la libertà. Non è una figura romantica di principessa, è una giovane guerriera piena di forza e determinazione, proprio come Halle, che non si è lasciata scalfire dai pregiudizi e ci ha consegnato una performance spettacolare».
Più avanti la vedremo nel nuovo capitolo di “Dune”, altro progetto attesissimo dalle nuove generazioni.
«Anche io da ragazzo amavo “Dune” e l’avevo già letto, poi l’ho riletto per rinfrescarmi la storia prima di girare il film. Da subito il mio personaggio preferito era Stilgard per la sua etica, il suo spirito e la sua dignità, è stata una felice coincidenza che mi sia stato proposto proprio quel ruolo. Mi ha reso felice il successo che ha avuto il film e personalmente mi ha dato la chance di ritrovarmi sul set con colleghi e amici come Josh Brolin, con cui avevo già girato “Non è un Paese per vecchi”. È stato lui a mandarmi il primissimo messaggio sul sequel: “Ci rivediamo nel deserto, figlio di puttana”. In questo secondo film il mio personaggio avrà molto più spazio e chi ha letto il libro sa bene di che cosa parlo, ma non può immaginare a che livello possano arrivare la visione e la creatività di un regista come Villeneuve».