Nel cuore della campagna pugliese, un edificio in restauro ospita sculture e fotografie. E crea occasioni d’incontro e convivialità

Soprattutto per chi viene da lontano il bacino del Mediterraneo può apparire come una regione con poche sfumature e quindi fino a vent’anni fa non era raro che in Puglia, che esplodeva di ricchi turisti, arrivasse gente con strani accenti che pretendeva di restaurare le masserie con un mix di elementi greci, marocchini e turchi. Oggi per fortuna questa cosa sta cambiando e la spasmodica voglia di spazi esotici sta lasciando il posto alla memoria dei luoghi e questo è merito anche di decine di architetti che hanno deciso (spesso non senza conseguenze) di fare resistenza, di proteggere l’umanità dell’architettura.

 

Lo studio Flore&Venezia, specializzato proprio nel restauro di masserie e trulli, questa volta è andato oltre e sta spingendo un committente illuminato a trasformare un frantoio del 1930 in una sorta di nuova piazza di incontro nella loro Ostuni: un luogo di arte, cultura, cibo, vino, condivisione. E per dimostrare che questo è possibile ci hanno portato la nuova edizione di Cantiere, un progetto che da cinque anni invade i “lavori in corso” degli edifici con mostre temporanee. Questo frantoio non è in un luogo di passaggio, si trova in una fantastica posizione tra il centro e il mare, ma ci si deve andare perché si è scelto di farlo e non perché capita. Beh, sta funzionando e da alcuni giorni migliaia di persone hanno raggiunto lo spazio per vedere le tre esposizioni, una delle quali è dello stesso studio di Aldo Flore e Rosanna Venezia: ci sono molti progetti di restauro, realizzati nel momento in cui non ci si deve scontrare con esigenze esterne e quindi con libertà totale. E si vede da quei disegni che quella zona d’Italia ha l’ambizione di diventare un posto di vita e non di villeggiatura.

 

C’è un fil rouge tra disegni e allestimenti: nelle tavole spiccano le linee rosse e dello stesso colore sono i 12 km di filo con cui hanno creato una sorta di soffitto, che quell’immobile ancora non ha, offrendoci una sorta di punto di vista nuovo verso l’esterno. Il cantiere, anche nelle altre due mostre, è l’anima: quello dei ricordi personali come base della vita in Angelo Filomeno (artista che vive a new York, ma è nato a Ostuni), che con i suoi elmi da guerra realizzati in strass e paillettes restituisce l’ossimoro di una violenza elegante. Ma anche nelle fortissime immagini di Giampaolo Sgura si respira il cantiere, dalla scelta del materiale di stampa fino ai contenuti: enormi teli in pvc che ritraggono le fasi di preparazione a un set fotografico, tra ironia e tensione. C’è Orlando Bloom che si fa una maschera di bellezza, Herta Paula che si stropiccia gli occhi, Blanco che incrocia gli occhi e tira fuori la lingua.

 

La mostra dura fino al 20 agosto. La vocazione culturale di quello spazio, invece, speriamo molto di più.

 

LUCI
Va a Shirin Neshat il premio “Le Vie dell’Immagine” della Biennale di Venezia. Shirin Neshat, con il suo lavoro da artista e regista, da sempre mostra le condizioni in cui sono ridotte a vivere le donne del suo Paese d’origine, l’Iran. Come molti altri artisti e creativi anche lei è costretta da anni a vivere in esilio.

 

E OMBRE
Il World Heritage Centre dell’Unesco chiede di inserire Venezia nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità in pericolo: il cambiamento climatico e il turismo di massa stanno provocando cambiamenti irreversibili. Inoltre sono ormai pochissimi i residenti in Laguna, perché le abitazioni sono tutte adibite a soggiorni brevi.