Buio in sala

Wolfkin, un social horror girato benino ma scritto maluccio

di Fabio Ferzetti   23 agosto 2023

  • linkedintwitterfacebook

Che fai se il tuo bimbo azzanna un compagno di scuola? Cerchi i suoi nonni e scopri che buon sangue non mente. Un film che conferma il luogo comune: il problema oggi sono le sceneggiature

Aspettando i tanti vampiri che si preparano a dilagare in tutte le sezioni della Mostra di Venezia, ecco un piccolo social-horror di vaste ma confuse ambizioni che sembra voler offrire un’appendice odierna alle leggende commentate nel classico di Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”.

La donna in questione è infatti un’attualissima madre single che affronta tutti gli stereotipi destinati a rendere ancora più affannosa la sua condizione, mentre il lupo (mannaro) con cui deve imparare a correre è nientemeno che suo figlio.

Un ragazzino dagli occhi ostinati che un brutto giorno – nota bene: il film è stato girato prima del “Bones and All” di Guadagnino – azzanna un coetaneo a ricreazione. Rampognata dal preside, che oltre a sospendere il ragazzo, mica siamo in Italia, la invita a trovarsi un compagno, la bella Elaine si licenzia dal fast food – certi registi non sprecano neanche una metafora – e parte con il dolente Martin alla ricerca del padre svanito poco dopo il concepimento. O se non del padre, almeno della sua famiglia. Ed ecco la svolta social.

Mentre la radio parla di migranti e altre emergenze, Elaine e Martin arrivano infatti nella tenuta dei mancati suoceri, che ignoravano perfino l’esistenza di quel nipote mordace. Due adorabili nonnini che ballano il valzer ma forse non la contano giusta, tanto più che sono ricchissimi e lui somiglia a David Lynch. Fidarsi o non fidarsi di quegli anziani di nome Urwald (in tedesco: foresta vergine), dotati degli immancabili trofei di caccia in salotto, ma anche di una stanza con ceppi e catene?

L’ingenua Elaine si fida, anche se nemmeno i suoceri sanno nulla del babbo di Martin, mentre per casa circola un “cognato” inquietante con fidanzata russa incinta e preoccupata. Evidentemente nessuno dei personaggi è mai stato al cinema, mentre il regista (lussemburghese, classe 1980) ha visto ogni possibile horror e piano piano ne cita parecchi, in un caleidoscopio di suggestioni che non chiariscono il messaggio ma rassicurano lo spettatore smarrito.

Il famelico Martin deve poter vivere libero e selvaggio, o la licantropia allude a privilegi e crudeltà della razza padrona? E quella mamma single, che ha la (pessima) abitudine di placare il figlio mettendogli un dito in bocca, deve scoprire il proprio lato indomito oppure guardarsi dai ricchi rapaci che portano il nipotino a messa (è il momento “Rapito”, col piccolo cresciuto laicamente che contempla estatico martirii e crocifissioni)?

Girato benino, scritto maluccio, Wolfkin conferma il luogo comune: il problema oggi sono le sceneggiature. Una tassa sulle metafore e il cinema d’autore risorgerà.

Wolfkin
di Jacques Molitor
Belgio-Lussemburgo, 87’

AZIONE!
Una giornata per l’Amazzonia. A Venezia il 4 settembre Giornate degli Autori e Isola Edipo ospiteranno il regista Morzaniel Iramari e le sue opere. Di etnia Yanomami, Iramari è uno dei nomi di punta del progetto varato nel 2010 per formare nuovi registi nelle regioni più remote del Brasile. Una scommessa appassionante.

E STOP
Ci voleva Ken Loach. Mentre tutti solidarizzano con gli sceneggiatori in sciopero a Hollywood, il grande regista inglese si chiede perché, oltre che compensi adeguati al boom dello streaming, gli autori non esigano anche più libertà. Nella scelta dei soggetti come nel taglio della scrittura. Curioso: nessuno ci aveva pensato.