carteggi ritrovati
Carlo Cassola e Franco Fortini, il piacere di essere diversi
Opposti per stile, idee, scrittura. Eppure entrambi protagonisti di una stagione culturale fatta di scambi e fervore critico. Come testimonia il loro denso epistolario
È impossibile immaginare due intellettuali antipodici quanto Carlo Cassola e Franco Fortini, il primo radicato nel mondo provinciale della solare Maremma, il secondo pronto a scagliare strali feroci da una severa Milano febbrilmente industriale. Eppure tra l’autore di fatto grossetano e il tormentato polemista di origini fiorentine intercorse un lungo scambio epistolare fitto di singolari convergenze. Il carteggio tra i due, edito sotto l’azzeccatissimo titolo “Un bisogno di complementarità” da Firenze University Press e USiena Press a cura di Giada Perciballi, testimonia un’assonanza di vedute che illuminano momenti cruciali non solo di natura biografica. Purtroppo soffre di un insormontabile squilibrio. Dei 63 pezzi di cui si compone 57 sono lettere di Cassola, mentre di Fortini vengono, di necessità, incluse solo 6 superstiti minute. Ma la curatrice annota le pagine con una tal messe di riferimenti a articoli, saggi, romanzi coevi che il confronto prende consistenza e coinvolge, tra alti e bassi, una stagione cruciale delle vicende culturali italiane tra il 1955 e il 1983. «Qualche anno fa – si sfoga Cassola il 27 febbraio 1968 – Giancarlo Ferretti, quel critico marxista, mi scrisse per rimproverarmi il mio ostentato disinteresse per la cultura. Gli risposi: “C’è Cecina in Marx? Ci sono le ragazze che ho amato in Marx? E allora cosa vuoi che me freghi di Marx?”». Una sbrigativa battutaccia che fa emergere quanto continuasse a pesare nel romanziere di successo la “poetica del subliminale”, categoria coniata da Manlio Cancogni e sempre avvertibile alla base di scelte illusoriamente anti-ideologiche. A Cassola premeva cogliere nei personaggi delle sue storie dimesse gli impulsi immotivati, gli scarti sottintesi, i movimenti inconsapevoli, la vita, insomma, nella sua elementarità esistenziale. Anche la fase più politica delle sua opera –“La Ragazza di Bube” (1960) ne è l’esemplare più discusso – è percorsa dal risoluto rifiuto di un neorealismo sovente imbevuto di mirati orientamenti protestatari, se non propagandistici.
Il modello che l’aveva più attratto era il Joyce di un luogo circoscritto e rovistato in ogni angolo. L’essenza della sua ricerca era l’ “integrità umana”, la naturalità allo stato puro. E questa convinzione Fortini – nell’ultima minuta conservataci (6 settembre 1970) – non poteva sottoscrivere , anche se la sentiva autentica, appunto “complementare” e non radicalmente opposta alle sue predilezioni. Ricordo un animato dibattito in cui tra gli altri feci notare a Cassola che la teoria del subliminale era anch’essa frutto di un’opzione ideologica, di un rifiuto del costrittivo ricorso ad un’enfasi filosofica, che nello storicismo in accezione italica aveva dato deboli ed equivoche spinte ad un effettivo rinnovamento («Dal marxismo di origine crociana non verranno fuori altro che chiacchiere» sentenzia Cassola il 15 ottobre 1956). E allora come si spiega l’accordo tra il generoso professore di liceo e l’inquietudine di un intellettuale europeo come Fortini, mai appagato dalle sue stesse analisi? A prescindere dagli esiti letterari e pubblicistici, ambedue disprezzavano il gruppo egemone dei comunisti romani che da Botteghe oscure facevano il bello e il cattivo tempo e non capì per disciplinato allineamento le generali implicazioni che la tragedia del 1956 imponeva. Una lettera di Cassola del 3 novembre 1956 è tra le più crude al riguardo. Vi si riassume in termini quasi caricaturali un litigio velenoso con Mario Alicata, Michele Rago, Jean Canapa e altri campioni dell’autorevole intellighentia della sinistra togliattiana. Ha un tono grottesco, che si concretizza in un duetto tra Alicata e Cassola. Alicata esplode: «Tu occupati di scrivere romanzi e non occuparti di politica, che non ne capisci niente». Quindi viene evocato l’eretico Carlo Muscetta che, da carogna, aveva osato firmare il manifesto audacemente critico circa la posizione filosovietica assunta dal Pci. Cassola replica: «Mi spiace sentirti chiamare carogna uno che da vent’anni è tuo amico». Alicata di rimando: «Io non ho amici. Un rivoluzionario non ha amici. Per un rivoluzionario conta solo la fedeltà ai principii». Cassola tenta di chiudere: «Io credo che contino anche i sentimenti». L’antagonista sghignazza:« Un rivoluzionario non deve avere sentimenti». Renato Guttuso, che era stato in disparte stava per piangere: «Per carità non dire così …». Difficile sceverare quanto ci sia di semplificato in questo stralcio di sceneggiatura. Nelle lettere private si abbozzano passaggi con un’irruenza che l’intervento a stampa vieta o sconsiglia. Questo era il clima: in Cassola vigeva una rigorosa distinzione tra opera del narratore e impegno di chi fa politica ogni giorno. Così il profilo che scaturisce dallo scambio asimmetrico ora disponibile conferisce ai due corrispondenti una nobiltà che fa giustizia di invalsi luoghi comuni. Nella sua ingenuità priva di un’intelaiatura dottrinale alta Carlo Cassola si rivela ben lontano dalla Liala in cui lo piazzò l’innovatore Gruppo 63. E Franco Fortini, da par suo, non teme di confessare a Italo Calvino (17 maggio 1956): «Non sono egalitario, ma democratico (c’è una bella differenza), il democratico crede ad una aristocrazia, l’egalitario no, gli uomini di cultura han da essere democratici e la cultura ha da essere aristocratica…». In apertura della sapida missiva si era lasciato andare: «Da venti giorni stiamo lavorando ad un manifesto anticoglioni; ma la prima stesura, durissima e di rottura con i cialtroni che conosci, è stata disapprovata da varia gente» e lancia ironiche frecciate polemiche in direzione di Carlo Salinari, Valentino Gerratana e compagnia. Se la piglia addirittura con Calvino «che fa lo scioccherello, il Robin dei Boschi, il folletto e l’Alice nel Paese delle Meraviglie all’ombra del rapporto Krusciov». Il laboratorio di “Ragionamenti” ebbe un limitato ascolto. Ho spigolato qua e là, rubando dalle lettere dettagli piccanti, come si è tentati di fare quando si apre un plico che sollecita curiosità . Altri temi meriterebbero riflessioni. Del viaggio che nel 1955 Cassola e Fortini fecero in Cina insieme ad un’élite di intellettuali entusiasti della vittoria di Mao l’autore di “Un cuore arido” ne dette conto in un «libretto» di taglio giornalistico dedicato a Franco. Il quale, specularmente, compose il volume “Asia Maggiore” dedicandolo a Carlo. Negli ultimi tempi Cassola capeggiò una Lega per il disarmo unilaterale che gli procurò accuse di caparbia ingenuità. Fortini dissentì. La chiusa della lettera buttata giù da Cassola il 7 giugno 1976 ha il timbro di un’indispettita delusione: «Io avevo chiesto il tuo aiuto ma dato che non me lo vuoi dare ti attaccherò insieme con gli altri. Spero di ridurvi a uno Stato maggiore senza soldati. È la sola speranza per la povera umanità».