I Blur sono la prova che si può ancora pubblicare un buon disco di successo

Primi in classifica per la settima volta in 35 anni. Con un album pieno di stile, ritmo e malinconia. E chi ama il rock torna a sperare

Non tutto è perduto. Può anche capitare che un bel disco sia in cima alla classifica di vendita. Succede in Inghilterra dove i cari, magnifici Blur sono tornati ai vertici col loro nono album intitolato “The ballad of Darren”, il che è già una notizia da record, perché è la settima volta che raggiungono la vetta, e ancora più sorprendentemente lo fanno dopo 35 anni dalla fondazione, dopo tormenti, separazioni, morti e rinascite, con un disco ispirato, dettato da motivazioni di stile, di bellezza, di sincerità poetica.

Cose d’altri tempi, verrebbe da dire, eppure possibili. A partire dal titolo che, usando il termine “ballad”, ci mette già in una attenta disposizione d’animo, e ci riporta involontariamente a un clamoroso precedente sanremese, perché il Darren citato, da sempre collaboratore e bodyguard personale di Damon Albarn, si trovò coinvolto in una delle esibizioni più singolari nella storia di Sanremo.

Quando nel 1996 i Blur, introdotti da Pippo Baudo, si presentarono al festival per cantare in playback (ogni tanto ai grandi è capitato di cadere nella trappola della finzione) il loro nuovo pezzo “Charmless man”, a causa di dissidi interni che stavano dilaniando il gruppo, successe che al posto di Graham Coxon, il chitarrista, ci fosse un cartonato, e al posto del bassista di ruolo ci fosse proprio lui, Darren “Smoggie Evans”, al quale oggi la band rende omaggio con un disco ricco di eleganze rock, rilassato, sottile, da godere nella pienezza dei testi e della cura delle melodie, della scrittura, un disco a tratti malinconico che parla di amori perduti, che omaggia la sensibilità poetica di Leonard Cohen e che mantiene alto il progetto complessivo di Albarn che, con o senza Blur, si afferma come uno dei pochi liberi pensatori ancora attivi nel rock, spregiudicato, indipendente, disposto ad aggiornarsi e comprendere la modernità, passando agevolmente attraverso diversi sentieri, da Blur a Gorillaz e viceversa. In assenza dei loro fastidiosi e principali rivali, ovvero gli Oasis, soprattutto nella gloriosa sfida degli anni Novanta, i Blur si sono concessi il lusso di fare un disco che non è autoglorificazione, non è di maniera, non cerca il successo e proprio per questo lo ottiene. “The balld of Darren” è prima di ogni altra cosa un bel disco, realizzato a otto anni dal precedente, a conferma che i dischi è bene farli quando ce n’è veramente bisogno, inizia con i toni addolorati e sofferti di un pezzo che canta il rimpianto d’amore e prosegue con compassata vivacità in una catena di racconti e fughe musicali di pregio.

Dunque non tutto è perduto. Si può ancora pubblicare un buon disco e sperare che qualcuno abbia voglia di ascoltarlo.

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UP
Tutti pazzi per “Makeba” di Jain, che è un pezzo di otto anni fa, e sono cose che succedono nel caos della attuale comunicazione musicale sgrazie a Tik Tok, balletti e giochini vari. Quando succede a un bel pezzo che era rimasto nell’ombra è un effetto piacevole. Una seconda occasione non si nega a nessuno.

 

& DOWN
In America sta prendendo piede la pessima abitudine di lanciare cose sul palco. Molti artisti stanno mettendo in guardia i fan, ma il fenomeno non si ferma. Cardi B, bersaglio di un lancio di liquido da parte di un fan in prima fila, ha reagito con veemenza e ha scagliato il microfono contro lo sgarbato spettatore.

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