Personaggi da riscoprire

Elvira Notari, la storia sconosciuta della regina di Napoli che ha inventato il cinema italiano

di Stefania Auci   13 settembre 2023

  • linkedintwitterfacebook

L’affermazione in un mondo di uomini, il trionfo, la censura fascista. La vita della prima regista del muto, ha ispirato il romanzo “La figlia del Vesuvio” di Emanuele Coen

Nella vita ci sono dei lampi, istanti che fanno vedere altri mondi, altre prospettive, altre vite. Ricordo ancora il lampo che, qualche anno fa, si accese nella mia mente quando la mia editor Cristina Prasso, appassionata di cinema delle origini, mi parlò di una regista a me del tutto ignota, Elvira Notari. Vidi – in un istante, appunto – una di quelle donne forti, coraggiose e innovative che troppo spesso sono trascurate o dimenticate, non soltanto perché gli uomini hanno sempre rubato loro la scena, ma anche perché quelle donne hanno seminato tanto, diffusamente, e noi adesso vediamo gli alberi e i frutti del loro lavoro, senza più pensare a quanto sono profonde le radici. Purtroppo, però, quel lampo si era spento subito, sostituito da altri personaggi e altre storie. Chi vive d'immaginazione non può seguire ogni voce: diventerebbe pazzo. E anche così non è che sia facile mantenere almeno una parvenza di equilibrio.

 

Ringrazio quindi di cuore Emanuele Coen perché, con il suo romanzo «La figlia del Vesuvio» (Sem) è riuscito a riaccendere quel lampo e a trattenerlo, illuminando così con mano ferma e sensibile la straordinaria vita di Elvira Notari, la prima regista italiana e una delle prime a livello mondiale, accanto alla pioniera Alice Guy-Blaché, la segretaria di Leon Gaumont che creò, in America, nel 1910, una casa di produzione tutta sua. Una vita che comincia in sordina, com’è destino per quasi tutte le donne di fine Ottocento (Elvira nasce nel febbraio 1875): figlia di un rappresentante di commercio e di una casalinga, Elvira Coda trascorre l'adolescenza a Salerno, ma poi è costretta a trasferirsi a Napoli per seguire il padre e, dopo un primo momento di sconforto, scopre la bellezza abbagliante, sontuosa e tragica di quella città: se ne innamora, insomma, la vuole, in un certo senso, possedere. E, in un modo tutto suo (e molto moderno), ci riesce: il marito Nicola Notari – sposato a 27 anni, nel 1902 – è un pittore di scarso successo, ma si fa apprezzare come colorista prima di fotografie e poi di film (all'epoca, le pellicole vengono colorate a mano, fotogramma per fotogramma) e lei lo aiuta, sfruttando quelle doti di precisione e di caparbietà che la caratterizzano (nel bene e nel male).

 

La copertina del libro "La figlia del Vesuvio" (SEM)

 

Si chiama Dora Film – Edoardo, Dora e Maria sono i loro tre figli – la casa di produzione che è il coronamento di quella meticolosa analisi visiva della realtà, il primo, decisivo passo non soltanto verso la conquista dell'immagine di Napoli, ma anche del suo cuore e delle sue contraddizioni. Da un lato, infatti, la Dora Film annuncia, orgogliosa, nelle sue pubblicità, che i suoi film (anzi: “le sue films”, come si diceva allora) sono “dal vero” e mostrano fatti “in real time” (come si direbbe oggi): per esempio, nel 1912, durante la guerra di Libia, propone la “Guerra italo-turca tra scugnizzi napoletani”, nata dall’osservazione fortuita di una violenta baruffa tra due bande di ragazzini che, appunto, giocavano alla guerra... tirando pietre anche all'indirizzo di Nicola Notari che filmava la scena. Dall'altro, però, a partire dal 1915, c'è ben di più: proprio come Alice Guy-Blaché aveva già intuito, nel 1896, le infinite possibilità di coinvolgimento della narrazione cinematografica in rapporto alla “semplice” registrazione della realtà, così Elvira attinge a piene mani all'immaginario che scorre sicuramente nelle vene di Napoli ma anche dell'Italia intera, anche se si tende a dimenticarlo in favore della cultura “alta”. Ed è proprio qui che il romanzo di Coen si accende ancora di più e coglie con elegante, essenziale, precisa vivacità luci e ombre della sua protagonista. Cosa non facile perché la personalità e la storia di Elvira Notari sono una continua sorpresa.

 

C'è la donna «di casa», che coinvolge l'intera famiglia nell'avventura della Dora Film (il figlio Edoardo avrà un particolare – per quanto effimero – successo in una serie di film nel ruolo dello scugnizzo Gennariello); c'è la donna d'affari che intuisce la potenza emotiva e commerciale dei romanzi d'appendice (lettrice di Carolina Invernizio e di Matilde Serao, porterà sullo schermo il romanzo “Raffaella o i misteri del vecchio mercato” – con il titolo “Il nano rosso” – della prima e cercherà inutilmente di convincere la seconda a cederle i diritti di “Sterminator Vesevo”, il diario dell'eruzione del Vesuvio dell'aprile 1906) e delle canzoni popolari, soprattutto quelle del Festival di Piedigrotta (“‘A Santanotte” e “Piccerella”, entrambi del 1922, e “Fantasia ‘e surdate”, del 1927, gli unici suoi tre film completi rimasti), di cui acquista i diritti, elabora un soggetto in armonia con il testo e poi presenta il film con la canzone “in sincrono”; c'è la regista severissima (soprannominata “il generale” o “la marescialla”), ma dall'occhio infallibile per individuare angoli e scorci di quella che è ormai la sua Napoli, per riprenderli con efficacia e per far recitare gli attori – spesso presi dalla strada – con la massima spontaneità possibile (all'interno della Dora Film nasce anche una scuola di recitazione); c'è la donna che osserva e racconta con tutta la schiettezza e tutti gli eccessi del melodramma (della sceneggiata) il destino del corpo femminile, il suo uso e abuso, come si ribella e come si piega ai desideri maschili: un discorso complesso, approfondito da Giuliana Bruno nel suo fondamentale saggio dedicato proprio a Notari, “Rovine con vista”…

 

E il successo, per Elvira e per la sua casa di produzione, arriva. È un successo travolgente, segnato addirittura da esplosioni di isterismo collettivo, come in occasione della prima del film “A’ legge”, tratto da due canzoni di Pacifico Vento, con la Galleria Vittorio Emanuele debordante di persone in fremente attesa. Un successo che valica addirittura l'oceano, con la creazione della Dora Film d'America, con le pellicole che viaggiano per nave insieme con i cantanti che devono “interpretare” il film e i numerosi emigranti italiani a New York che si struggono nel vedere immagini così vere della patria e ad ascoltare le sue canzoni.

 

Ma poi arriva anche il declino. È sempre arduo raccontare i momenti tragici nella vita di un personaggio senza dimostrare troppa pietà o senza, al contrario, sminuirlo, ma anche qui lo stile asciutto e controllato di Coen riesce a comunicare tutta la dignità e la comprensione che Elvira Notari merita. Il complesso succedersi di colpi sferrati alla sua attività – dalla censura che si accanisce non soltanto per i numerosi sottintesi sessuali dei film, ma addirittura perché le didascalie, essendo in dialetto, non sono in “corretta lingua italiana”, all'avvento del sonoro che rivoluziona l'apparato tecnico della produzione e dei teatri – induce a pensare che non sia tanto Notari che si allontana dal cinema, ma viceversa. Come un figlio ormai cresciuto che abbandona la casa materna e si avvia verso un destino magari non radioso, ma affascinante. A me, invece, dopo aver letto questo romanzo, è venuta voglia di rimanere lì, accanto a Elvira, e ascoltare ancora una volta la sua storia. Perché le radici, quando sono così ben raccontate, sono anche più belle degli alberi e dei loro frutti.