Malgrado le stroncature di storici e magistrati, il "falso Artemidoro" continua ad accendere la curiosità di alcuni studiosi stranieri. Come l'ornitologo che ha notato un dettaglio sorprendente. Dalla newsletter de L'Espresso sulla galassia culturale araboislamica

Buon anno con Artemidoro. Per evadere dalle tragici aggiornamenti che ammantano di cupezza ogni notizia proveniente dal mondo araboislamico, Arabopolis vi propone un viaggio all’interno di una delle più spettacolari e appassionate controversie culturali degli ultimi anni: quella che circonda il papiro di Artemidoro. Che un nutrito gruppo di studiosi, guidato da Luciano Canfora e supportato da una sentenza di tribunale, giudica sicuramente falso. Ma che continua ad essere esposto come “di dubbia autenticità” in un autorevole museo italiano. E a ispirare in giro per il mondo studi che analizzano aspetti scientifici, geografici, storici, persino ornitologici, e liquidano la sua presunta falsità in qualche riga.

 

A riportare il papiro sulla pagine di attualità è stato l’arresto dell’uomo che nel 2004 lo ha venduto alla fondazione della banca Intesa San Paolo per la cifra record di 2.750.000 euro. L’inchiesta che ha portato in manette Serop Simonian riguarda una stele con il nome di Tuhankhamon venduta all’ex direttore del Louvre (anche lui arrestato mesi fa) per essere esposta nella sede di Abu Dhabi. Questa vicenda non ha niente a che vedere con l’Artemidoro, ma dice molto sulla “disinvoltura” con cui il mercante armeno con sede ad Amburgo si procurava i reperti: con pieno disprezzo delle leggi che regolano l’esportazione di oggetti egizi a partire dagli anni Venti del secolo scorso (poco prima della scoperta della tomba di Tutankhamon), e in maniera ancor più rigorosa nel secondo dopoguerra. 

 

In occasione dell’arresto, Canfora sul Corriere della Sera e Federico Condello su Repubblica hanno dato la notizia, paventando che la cronaca offrisse l’occasione di rimettere in dubbio l’autenticità del papiro da parte dei suoi «sparuti estimatori» - che però comprendono, per fare solo due nomi, l’ex direttore dell’Oxyrhynchus Papyri Project Peter Parsons e, più di recente, Tomaso Montanari. Approfittiamone, quindi, per riprendere in mano una diatriba unica, che ha visto scendere in campo papirologi e fisici nucleari, storici dell’arte e della geografia, anche dopo l’intervento “tombale” di magistratura e polizia.

 

Chi vuole vedere dal vero l’oggetto del contendere deve andare a Torino, nella sala del Museo Archeologico del Polo Reale dove è custodito con tutte le attenzioni dovute a un papiro del primo secolo avanti Cristo: perché la datazione del foglio è una delle poche cose su cui tutti concordano. Il supporto su cui sono stati vergati testi, mappa e disegni risale a quel secolo, epoca in cui l’Egitto (da cui il supporto proviene) diventò una provincia dell’Impero Romano, Artemidoro di Efeso (vissuto a cavallo tra secondo e primo secolo avanti Cristo) scriveva le opere geografiche a cui rimanda il testo in greco che si legge sui brandelli del recto del papiro, e i mosaicisti nordafricani realizzavano disegni arricchiti da una fauna che ricorda gli animali schizzati su parti del verso.

 

Che il papiro sia davvero antico (lo ha stabilito una datazione al carbonio che nessuno mette in dubbio) in realtà non significa nulla: sono stati trovati in Egitto interi rotoli di papiro non utilizzati nell'antichità, e questi sono stati utilizzati dai falsari dell’Ottocento, in particolare da quel Costantino Simonides su cui si sono incentrati i sospetti di Canfora (diversi suoi falsi sono conservati al National Museum di Liverpool). Sospetti confermati da analisi dell’inchiostro, confronti tra i disegni e dipinti rinascimentali o tavole dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, analisi linguistiche sulla datazione di singole denominazioni di antiche città: una messe di informazioni che nel 2018 ha portato il giudice Armando Spataro della Procura di Torino a stabilire per sentenza la falsità del reperto.

 

Mi sono occupata del Papiro di Artemidoro nel 2013, per un articolo che mi è costato settimane di studio matto e disperatissimo e che è sicuramente uno dei più consultati sul web tra quelli che ho scritto i trent’anni di carriera (l’articolo dell’Espresso è linkato anche sul più famoso “social per studiosi”, Academia.edu). Non ho mai annullato la ricerca Google di nuovi articoli sull’argomento, e ogni tanto girando per la rete incontro qualche notizia, a volte vecchia di anni, come capita navigando sul web. Tra i più prolifici tra gli studiosi che continuano a spremersi le meningi sul "falso Artemidoro" ci sono gli storici della geografia spagnoli: perché tra le colonne di testo è accennata una mappa incompiuta che (se fosse vera) sarebbe la prima carta geografica della Spagna, e una delle mappe più antiche in assoluto.

 

Nei giorni scorsi mi sono imbattuta in un saggio davvero curioso: a provare che il papiro è autentico sarebbero gli uccelli disegnati sul retro. L’autore è R.K. Kintzelbach, famoso ornitologo, che infatti scrive su The Open Ornithology Journal. La fama del papiro evidentemente è arrivata fino a lui, incuriosendolo con le immagini degli uccelli. E in questo testo pubblicato nel 2012 ha stabilito che quelle immagini sono legate a un avvenimento reale: l'evento stabilirebbe un termine di datazione “post quem” che confermerebbe l’autenticità del papiro.

 

Quegli uccelli, e soprattutto il Casuario Australiano citato nel titolo del saggio (“A Cassowary Casuarius casuarius (Linnaeus, 1758) record from Alexandria, Egypt, in 20 B.C.”) rimandano a un’ambasceria avvenuta nel 20 avanti Cristo. In quell’anno, emissari del re Poro d’India portarono in dono ad Ottaviano Augusto una quindicina di uccelli mai visti prima sulle rive del Mediterraneo: il casuario, in particolare, si trova non solo in Australia ma anche in Indonesia. Nella strada per Roma, la delegazione toccò anche Alessandria d’Egitto, da cui proverrebbe il controverso papiro.

 

 Le 47 illustrazioni, scrive l’autore, «rientrano nella tradizione ellenistica di disegni realistici di animali», e il papiro «è stato evidentemente realizzato e usato come campionario» in una bottega artigiana. Tutto questo, secondo Kintzelbach, «è abbastanza per mettere la parola fine all’ipotesi che il papiro di Artemidoro sia un falso». Non ci allarghiamo: la bilancia pende ancora dalla parte di Canfora e soci. Ma la faccenda è comunque avvincente, e una navigazione tra gli articoli linkati a questa newsletter (magari con l’aiuto di qualche traduttore automatico) regaleranno ai lettori un bel giallo culturale con cui iniziare il 2024.