Documentari

Kripton è un film necessario per rompere il silenzio sui disturbi mentali

di Emanuele Coen   19 gennaio 2024

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Georgiana e Matteo

Il lavoro di Francesco Munzi racconta la vita di sei giovani, ragazze e ragazzi, ricoverati in due comunità psichiatriche della periferia romana, che combattono con problemi della personalità e stati di alterazione. Un affresco poetico per raccontare una realtà spesso ignorata e colpita dallo stigma sociale

C’è l’amore per un figlio e la rabbia perché il destino te lo porta via per un tempo che può durare un’esistenza intera. E la rabbia perché tuo figlio, adottato, non è un figlio "normale", come tutti gli altri. Perché la sua testa non funziona, o meglio funziona in maniera diversa. Anzi quando funziona brilla e illumina tutto ciò che lo circonda. Che forse è ancora peggio. Per questo verrà bollato per sempre, escluso, colpito dallo stigma sociale.

 

Poi c’è il buio, il buio improvviso che ogni giorno oscura tutto nella mente di una ragazza e apre il varco a pensieri negativi, predatori, violenti. E i disturbi alimentari di un’altra ragazza, che ne mettono a rischio la sopravvivenza e alterano in maniera radicale i rapporti familiari. E poi ci sono i familiari, precipitati all’inferno senza preavviso, madri, padri, fratelli, sorelle in allerta permanente, sempre in bilico sull’abisso, costretti a confrontarsi con il disagio, ad affrontare il mare in tempesta con un canotto. Tutto questo è “Kripton”, il film di Francesco Munzi (già regista di “Anime nere” 2015, nove David di Donatello e tre Nastri d’argento), ora in sala, che indaga la vita sospesa di sei ragazzi, tra i venti e i trent’anni, volontariamente ricoverati in due comunità psichiatriche della periferia romana, che combattono con disturbi della personalità e stati di alterazione. Come Marco Antonio, uno dei protagonisti, che a suo dire è nato su Kripton (anzi Krypton), il pianeta immaginario, luogo di provenienza di Clark Kent alias Superman. Marco Antonio specifica che il pianeta non è esploso come tutti dicono, ma sta ancora lì e “non è remotissimo” anche se in effetti “alquanto remoto è”.

 

Attraverso il racconto della quotidianità dei protagonisti, delle relazioni che intrecciano tra di loro e con il mondo “adulto” composto da psichiatri, professionisti e dalle stesse famiglie, il film porta a esplorare in profondità la soggettività. Munzi affonda le mani in “Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam e Pirandello, elabora un lavoro complicato, che fotografa la realtà e al tempo stesso distilla l’essenza più poetica della vita umana, restituisce l’unicità di ogni persona, utilizza la malattia psichica come grimaldello per scardinare luoghi comuni, tabù, pregiudizi.

 

Il regista Francesco Munzi

 

«Il film parte dal concetto più largo possibile, disturbato, fino ad arrivare alla singola persona. E la persona è straordinaria perché distrugge qualsiasi concetto generale», ha affermato lo scrittore Emanuele Trevi giovedì sera al Cinema Troisi, a Roma, durante il dibattito dopo la proiezione del film, alla presenza del regista e di Mauro Pallagrosi, uno degli psichiatri e coprotagonista della pellicola: «Questo ha a che fare con quello che noi chiamiamo bello. Nel dizionario italiano non c’è parola più cretina di bellezza. La bellezza è lo stupore per l’unicità e l’irripetibilità del singolo essere umano. Ed è quello che fa il regista con questo film», ha aggiunto Trevi.

 

Dimitri

 

Ha trascorso cento giorni nelle comunità psichiatriche Munzi, un periodo che si può considerare lunghissimo (secondo gli standard delle produzioni cinematografiche) o brevissimo (rispetto alla complessità delle vite raccontate). Una cosa è certa: negli ultimi anni alcuni dei migliori film in circolazione proviene proprio dal mondo dei documentari, vengono in mente “Ennio” su Ennio Morricone di Giuseppe Tornatore e “Laggiù qualcuno mi ama” su Massimo Troisi di Mario Martone, per la capacità dei registi di partire dalla realtà per costruire un mondo incantato, perfetto, in cui gli attori-non attori sono più credibili dei professionisti. Poi c’è la realtà, con i suoi numeri impietosi. Nel 2022 circa 800mila persone sono state in cura presso i servizi di salute mentale pubblici. Tra queste, circa 28mila erano ospitate in strutture residenziali comunitarie. Si stima che in Italia, nel 2022, le persone che hanno manifestato disturbi mentali di rilevanza clinica siano state circa tre milioni. Il disagio mentale è in crescita, soprattutto dopo la pandemia, in particolare tra gli adolescenti, per i quali si considera un aumento di circa il 30% dei casi. Per questo “Kripton” è un film necessario, urgente. Da non perdere.