Donne da riscoprire
Caroline Schelling, la magnifica ribelle che non voleva fare la musa muta
Quattro cognomi, tanti mariti, moltissimi amanti: la donna e intellettuale tedesca è stata molto più che l'ispiratrice di Novalis, Schiller e Fichte
Aveva quattro cognomi. Uno per ogni suo uomo, colpito e affondato. Caroline Schelling, nata Michaelis, vedova Böhmer, divorziata Schlegel, aveva tanti cognomi, tanti mariti, tantissimi amanti. Ma ben poco tempo per fare la musa. Fosse pure del filosofo idealista Friedrich Schelling, rivale di Hegel e suo terzo marito… Perché la ragazza tesseva trame d’amore non meno che d’idee. Cultura forte e cuore frivolo, anche per questo Caroline era «una donna più moderna di noi», dice a L’Espresso Andrea Wulf, storica inglese (Royal Society Award) che ha snodato le vite dei suoi “Magnifici ribelli” (Luiss University Press, 2023) in un libro che restituisce l’ordito umano della Jena di fine Settecento. Giacché è dalla Ionia a Jena – come si dice – e cioè dall’acqua di Talete allo Spirito di Hegel, che il pensiero europeo svolta in direzione della Romantik.
Caroline Böhmer - così la chiama Wulf - ammalia. Non è musa, non è muta, ma «è molto più che un’ispiratrice: un po’ come la vostra Artemisia Gentileschi o come Émilie du Châtelet». Come quelle donne, sostiene l’autrice, «che, pur amanti di grandi uomini, fanno comunque le cose per sé, scrivono per sé, fanno l’arte per sé». Ed è proprio questo benedetto “sé” – qualsiasi cosa significhi – che nasce e si sviluppa a Jena grazie a Goethe, Schiller, Novalis e tutti i romantici amici di Caroline: magnifici ribelli che s’inventano la libertà individuale.
È una figura nuova, Caroline. Ragazza sino ad allora avulsa dal catalogo dei tipi femminili. Non foss’altro perché, come apertamente scriveva, non vedeva l’ora di prendersi una pallottola in testa nel frattempo che si pittava la bocca per andare al ballo coi giovanotti francesi. Con quelli che per lei erano gli uomini più belli al mondo e che avrebbero esportato la rivoluzione in una Germania ancora feudale.
È il 1793 quando la speranza del bossolo e della rivoluzione sfuma con l’arresto e una prigionia senza processo. I soldati prussiani catturano Caroline, già vedova del primo marito, in viaggio con la figlioletta Auguste e incinta di un rivoluzionario diciottenne francese. A Magonza Caroline aveva bevuto, amato e sognato coi sovversivi: in tutta la Germania zufolavano di amorazzi col generale Custine, comandante delle truppe di occupazione, e con Georg Foster nel cui salotto da tè si commentavano le notizie dalla Francia e le strategie per fare della città di Magonza la prima république su suolo tedesco.
Dopo pochi giorni dall’occupazione, all’incirca due settimane, arriva la repressione. Caroline fugge ma viene acciuffata e costretta dal tè al pagliericcio della reclusione a Königsberg. Tutto sembra perduto: fuori e dentro la cella. Anche di là dalle sbarre le voci sui suoi amori smodati montano il brago: è già “character assassination”, morte della reputazione. Ma è proprio allora che un uomo s’appresta a soccorrere questa donna non-musa (ma “molto di più”).
August Wilhelm von Schlegel, traduttore, critico, amico di Madame de Staël, la venera da tempi non sospetti e ora ha forza e pazienza di superare i tanti amori e gli affanni. Grazie alla mediazione di suo fratello Caroline è libera, pronta a diventare Madama Schlegel, animatrice e demiurga di Jena.
«Caroline non era solo la moglie ma era anche l’editor del suo secondo marito», ricorda Wulf: «Uno dei pochi uomini che, per tenuta morale, potevano reggere la presenza di una donna come lei». Che se non è musa – e non è muta – si può forse definire civetta colta. Figura che ancor oggi, ammette l’autrice, «non è facile sopportare. Perché non è semplice gestire la libertà che spira nel cuore e nel cervello delle donne libere».
Caroline, di suo, vaglia e mette mano alla celebre traduzione di Shakespeare cui lavora il marito. Nel mentre, chiacchiera coi nuovi amici ribelli: solite tresche di cuore e d’intelletto. Stavolta però non più coi ribelli francesi, rivoluzionari eccessivamente fisici, ma con quelli tedeschi: più metafisici. Ovvero con l’étoile dell’accademia Johann Gottlieb Fichte, col giovane poeta Novalis, con Dorothea Veit e l’altro Schlegel (il cognato), coi fratelli von Humboldt e Friedrich Schelling (il futuro terzo marito), coi decani Schiller e Hegel. Tutti che passeggiavano, su e giù per le strade di Jena, e tutti col culto di Goethe. In una città che all’epoca contava quattromilacinquecento abitanti, ottocento case e – in proporzione – molte più librerie.
Così, tra scaffali, salotti e maschi romantici, fa capolino Andrea Wulf, sottobraccio a Caroline. La storica nata a Delhi che, raggiunta Londra, racconta oggi la grande storia delle piccole storie. Un metodo d’indagine più femminile, questo? «Nient’affatto. Piuttosto un metodo inglese (tradotto: un metodo brillante, non noioso). Perché la storia, per noi inglesi, è anche romanzo. È daily life».
Non battaglie, trattati o spiriti del tempo a cavallo, per intenderci. Non la “grande storia” hegeliana, a dispetto di Jena. Ma «l’odore delle case e il sapore dei cibi, i pettegolezzi e gli amori». Tutto il fragore e il fulgore quotidiano di questa nuova Atene. E a proposito di Hegel, se è vero che la filosofia è la nottola di Minerva che spicca il volo sul far del crepuscolo, non sarebbe assurdo fantasticare che questa notturna animatrice di chiacchiere dotte fosse proprio Caroline. Non musa. Ma civetta filosofa.