Buio in sala

La zona di interesse ci spiega la banalità del male

di Fabio Ferzetti   27 febbraio 2024

  • linkedintwitterfacebook

Una famiglia felice. Il padre militare, la madre “regina di Auschwitz”. Un film magistrale che porta nel cuore dello sterminio

La banalità del Male, lato piscina. Gli uccellini cantano, i bambini sguazzano, la mamma mostra agli ospiti le piante e i fiori del giardino. Ogni tanto in lontananza, molto in lontananza, echeggiano strani rumori, chissà cos’è. Ora i bambini bendano papà per fargli una sorpresa, un regalo di compleanno. Poi papà va al lavoro a cavallo. Papà porta anche la divisa e lavora proprio davanti casa. C’è un muro di cemento, alto alto, ci sono torrette, filo spinato. Le urla lontane forse vengono da lì. Anche quegli ometti che ogni tanto sfrecciano in giardino forse vengono da lì. La mamma del resto ha uno strano soprannome. La regina di Auschwitz, la chiama papà. «Sei proprio caduta in piedi, figlia mia!», dice soddisfatta la suocera, che una volta faceva le pulizie a casa di una signora, una signora ricca e colta che adesso sta lì, dietro il filo spinato. E loro si sono prese tutto.

 

Liberamente ispirato a un romanzo di Martin Amis a sua volta ispirato a Rudolf Höss, l’ingegnere comandante di Auschwitz, “La zona d’interesse” (così le SS chiamavano i terreni circostanti) evoca con terribile efficacia un antico monito di Jean-Luc Godard. L’unico modo per rappresentare la Shoah, diceva Godard mezzo secolo fa, sarebbe raccontarne il lato burocratico, i problemi organizzativi. Quanti corpi posso trasportare in un giorno? Quanti ne posso incenerire? Inglese discendente da ebrei ucraini, Jonathan Glazer va oltre. Höss è visto quasi solo in famiglia (la casa del comandante sorgeva davvero accanto al lager) secondo un dispositivo formale, cioè etico, rigoroso quanto appassionante. Inquadrature studiatissime, musiche dissonanti, cineprese e microfoni ovunque per catturare la vita quotidiana. Come in un “Grande fratello” ancora più horror dell’originale. Il lager e i suoi orrori restano fuori campo: assenza, più acuta presenza. Ma non è tutto. Affacciato su quell’oscenità senza nome, lo spettatore si ritrova catapultato nel presente. Quell’indifferenza mostruosa non è solo la loro. È anche la nostra. Ecco perché, forse, solo oggi si poteva realizzare un film come questo.

 

LA ZONA D’INTERESSE
di Jonathan Glazer, Gb-Usa-Polonia, 105’