Alberto Malanchino, attore per la Rai e per il premio teatrale Ubu. Daphne Di Cinto, che lo ha diretto in un corto e ha recitato in "Bridgerton". E altri artisti e autori neri da scoprire o riscoprire. Dalla newsletter de L'Espresso sulla galassia culturale araboislamica. Foto di Marzia Di Legge Benigna

Sono arrivata in ritardo per il Black History Month, la staffetta culturale nata con l’idea di dedicare un mese intero – quest’anno è febbraio - a iniziative che mettono in evidenza l’apporto dei neri alla costruzione degli Stati Uniti d’America. Corro ai ripari segnalando alcuni dei neri che costruiscono l’Italia oggi, in tanti campi della cultura e dello spettacolo. È una variante che mi sembra più adatta alla società italiana, che gli italiani black tendenzialmente non li vede: nemmeno quando se li è visti crescere in casa, come ha spiegato in un’intervista Daphne di Cinto. Ecco, cominciamo da lei…

 

Daphne di Cinto. Come attrice ha recitato nella serie "Bridgerton", dove interpreta la Contessa di Hastings. Come regista ha firmato “Il Moro”, biografia di Alessandro de' Medici, primo duca della famiglia fiorentina, probabilmente figlio di un papa e di una sua schiava nera. Un corto in costume ma con agganci d'attualità che ha mancato di poco la candidatura agli Oscar. Di Cinto ha raccontato che suo padre, che è «un suprematista bianco», «non mi vede come una persona nera. Durante una conversazione in cui gli chiedevo come potesse affermare i suoi pensieri pur avendo una figlia nera, mi ha risposto che non lo sono. Non si tratta di una dinamica unica: ho incontrato tantissime persone che hanno una storia simile alla mia, come ha dimostrato anche Marilena Umuhoza Delli scrivendo un libro sull’argomento».

 

Marilena Umuhoza Delli. Scrittrice, attivista, fotografa, regista e conduttrice radiofonica. Di libri in realtà ne ha scritti tre, “Razzismo all’italiana”, “Negretta” e il recentissimo “Lettera di una madre afrodiscendente alla scuola italiana” (People). È anche produttrice musicale (ha firmato il documentario “Rwanda’ Mama” e l’album “Zomba Prison Project” e lavora con musicisti di strada africani e asiatici), fotografa (le sue immagini sono raccolte nel volumi “How music dies”, “Silenced by sound” e  “Muse-Sick: a music manifesto in fifty-nine notes) e conduttrice radiofonica (per Radio Radicale, con “Eccellenze Afrodiscendenti”). Ha fondato la prima “Academy dell’antirazzismo”, che gira l’Italia con lezioni di educazione antirazzista per studenti e docenti.

 

Alberto Boubakar Malanchino. È il Moro del film di Di Cinto. È il dottor Gabriel Kidane, di “Doc – nelle tue mani”, il serial Rai con Luca Argentero. È un interprete di teatro premiato con l’Ubu come miglior attore under 35. E lo vedremo al Materia Prima Festival (a Firenze in questi giorni e fino al 5 aprile) con “Sid. Fin qui tutto bene”, discesa agli inferi di un ragazzo cresciuto tra razzismo e delinquenza.

 

Antonio Dikele Distefano. A proposito di serie televisive: dopo aver scritto cinque romanzi, fondato una rivista digitale (“Esse Magazine”) e diretto un talk online (“Basement Cafè” con Carlotta Vagnoli), ha scritto per Netflix un serial da esportazione, “Zero”, basato sul suo romanzo “Non ho mai avuto la mia età”, e girato un film su due fratelli che sognano di sfondare nel mondo del rap (“Autumn Beat”, su Prime Video). Ad Alessandra Venezia che lo intervistava per IoDonna sulle reazioni del pubblico nella lunga tournée di presentazione del film ha detto che «gli adulti mi chiedono sempre cose legate al razzismo, i ragazzi mi chiedono cose legate ai personaggi. Il fatto che siamo neri è metabolizzato, dimostra che i giovani sono un passo avanti».

 

Nina Kipiani. L’ondata di musica africana selezionata da questa dj parte da Roma e arriva al mondo passando attraverso la playlist Afrothequedi Spotify, di cui Arabopolis si è già occupata. Per vederla dal vivo e ballare sulla sua scelta di afrobeats, amapiano e classici del continente, bisogna cercarla in una delle sue due serate fisse: il giovedì al Room26 (Milkshake Party) e il sabato al Qube Club (Evolution Party).

 

Ste. Restiamo in musica con Stephanie Ojembo, in arte Ste. Nelle sue canzoni unisce inglese e dialetto e affianca al rap il soul, il jazz e la canzone classica napoletana: una serie di singoli (“Ansia”, “Catene”) che l’hanno fatta conoscere anche per i temi impegnati, anticonformisti, fuori dall’immaginario ripetitivo di tanto rap italiano. A Radio Radicale si è presentata così: «Sono donna, nera, omosessuale e mi piace cantare l’amore senza pregiudizi e col conforto del napoletano che trovo romantico e coinvolgente. In tutti i brani che scrivo ci metto dentro me stessa, e questo si riflette anche nel mio modo di vestire da “maschiaccio”». Partita dal pub Whoop di Castelvolturno è arrivata in breve tempo alla rassegna di voci femminili Le Vesuviane (accanto a Teresa De Sio e Simona Molinari) e alla consacrazione da parte di Geolier, che ha remixato il suo “Red”, collage basato sul ritornello di “I know what you want” di Busta Rhymes e Mariah Carey

 

Venezia. Venezia nera? È la sorpresa di “Venezia africana. Arte, cultura, persone” (wetlands books). Curato da Paul Kaplan, professore di storia dell’arte al Purchase College di New York, e Shaul Bassi, docente di letteratura inglese a Ca’ Foscari, mescola saggistica e guida vera e propria per raccontare in dieci itinerari le tracce nascoste nella città di ieri (dall’Otello di Shakespeare ai luoghi del commercio di schiavi e del colonialismo) e di oggi (soprattutto nelle gallerie d’arte e nei padiglioni della Biennale). Tra gli autori Vittorio Longhi, Ngũgĩ wa Thiong’o, Marilena Umuhoza Delli, abbracciati da una prefazione di Igiaba Scego e dalla postfazione di Maaza Mengiste.