Intervista

Louisa Lim: «A Hong Kong non posso più mettere piede. La libertà è sempre più compromessa»

di Emanuele Coen   4 marzo 2024

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La repressione, i dissidenti, la nuova legge sulla sicurezza nazionale. L'ulteriore stretta sui diritti. A cinque anni dalle proteste contro il governo cinese, la scrittrice e giornalista, che oggi vive in Australia, esprime le sue preoccupazioni: «Centinaia di migliaia di abitanti di Hong Kong sono esiliati e scelgono di vivere all’estero piuttosto che scendere a compromessi con i propri valori»

Che sia un personaggio scomodo si capisce già dai suoi documenti. Di padre cinese e madre inglese, Louisa Lim come tutti gli abitanti di Hong Kong di identità mista è stata oscurata prima dall'impero britannico poi dal governo cinese. Firma del New York Times e del Guardian, cresciuta nella metropoli cinese, Lim ha dovuto lasciare il Paese dopo le proteste del 2019, in cui era coinvolta, e le migliaia di arresti di attivisti contro Pechino. Le voci ribelli di una metropoli tradita e indomita che Lim, oggi docente di giornalismo all'università di Melbourne, in Australia, ha raccolto nel libro “La città indelebile” (Add editore), uscito all'indomani dell'approvazione della prima legge sulla sicurezza nazionale nel 2020, in piena pandemia. Un saggio che ha scosso l'opinione pubblica. A cinque anni dalle proteste e alla vigilia del varo della nuova legge sulla sicurezza nazionale, la scrittrice parla con L'Espresso di diritti civili, libertà, repressione. 

 

Louisa Lim, lei oggi vive in Australia. Può tornare a Hong Kong?
«Non posso più tornarci a causa della legge sulla sicurezza nazionale. È troppo rischioso. Non mi sentirei sicura a tornare ora, soprattutto dopo che il mio libro “The People's Republic of Amnesia” è stato rimosso dagli scaffali delle biblioteche. Alcuni giornalisti e fotografi sono stati respinti alla frontiera e molti altri – inclusi docenti universitari, attivisti e scrittori – non si sentono più sicuri a varcare il confine».

 

Nei prossimi mesi verrà approvata la nuova legge sulla sicurezza nazionale, che fornirà un altro strumento alle autorità per limitare le libertà civili e renderà ancora più difficile la vita ai dissidenti. Come giudica questo provvedimento?
«Di recente il direttore generale della regione amministrativa speciale, John Lee, ha annunciato il piano di approvare la legge entro il 2024. Il provvedimento, che dovrebbe limitare ulteriormente le libertà civili, ribadisce il ruolo di Hong Kong nel programma nazionale cinese e dimostra l’obbedienza dell’amministrazione a Pechino».

 

Quali conseguenze avrà questa legge sulla vita politica di Hong Kong?
«La vita politica di Hong Kong è già stata neutralizzata e resa irriconoscibile dalla legislazione sulla sicurezza nazionale imposta nel 2020, che ha trasformato l’assemblea legislativa in un organismo composto da “patrioti” e da forze filo-Pechino, squalificando di fatto l’opposizione un tempo favorevole alla democrazia. Questa legge ha anche criminalizzato alcune forme di espressione e imbavagliato i media indipendenti. Il nuovo pacchetto, noto come Articolo 23, vieta il tradimento, il sabotaggio, la sedizione, il furto dei segreti di Stato e lo spionaggio. Ma il campo di applicazione proposto è straordinariamente vago e ampio e definisce i segreti di Stato come segreti economici, scientifici, diplomatici e sociali che potrebbero mettere in pericolo la sicurezza nazionale se divulgati».

 

La copertina del libro di Louisa Lim "La città indelebile" (Add editore)

 

In sostanza cosa significa?
«Che le informazioni sulle decisioni politiche o sullo sviluppo socioeconomico della Cina potrebbero essere classificate come segreto di Stato, suscitando enormi paure tra uomini d’affari, giornalisti e accademici. Le conseguenze della proposta di articolo 23 sulla sfera politica possono essere minimizzate, dal momento che Pechino ha già messo sotto controllo il Parlamento e i partiti politici con la legge sulla sicurezza nazionale, ma sta già avendo un enorme impatto sulla gente comune. Quando un notiziario televisivo pro-Pechino a Hong Kong ha cercato di intervistare gli abitanti di Hong Kong sull’Articolo 23, ha faticato a trovare qualcuno che osasse parlare. Una donna ha detto loro: "Due frasi sbagliate potrebbero essere pericolose. Ho tanta paura". C’è un enorme timore per un ulteriore colpo alle libertà, così come la preoccupazione tra le imprese, che si riflette nel calo dell’indice Hang Seng del 2 per cento il giorno in cui sono state annunciate le proposte. È diminuito di oltre il 30 per cento negli ultimi 12 mesi».

 

Cosa resta delle proteste del 2019? 
«Le autorità hanno compiuto enormi sforzi nel tentativo di rimuovere qualsiasi traccia delle proteste del 2019, mettendo fuorilegge le proteste pubbliche, imprigionando politici e attivisti e imponendo taglie da milioni di dollari sulle teste degli esuli dichiarati. I simboli della protesta – i manifesti, i graffiti, la statua del Pilastro della Vergogna all’HKU e la Dea della Democrazia all’Università Cinese – sono stati rimossi, ma la gente di Hong Kong non dimenticherà le proteste e la violenta repressione. Il movimento ha contribuito a costruire e rafforzare un senso di identità e comunità, che è più difficile da contrastare per le autorità, soprattutto perché il senso di identità di Hong Kong poggia sui valori civici, inclusa la libertà politica. Centinaia di migliaia di abitanti di Hong Kong sono esiliati, scegliendo di vivere all’estero piuttosto che scendere a compromessi con i propri valori».

 

Che fine hanno fatto gli attivisti e i dissidenti?
«I più noti dissidenti politici sono in carcere, tra cui il fondatore del quotidiano Apple Daily, Jimmy Lai. Inoltre, 47 cittadini democratici e attivisti sotto processo per associazione a delinquere finalizzata alla sovversione e rischiano l'ergastolo. La loro incarcerazione di fatto spazzò via l’opposizione politica. Si tratta anche di una cartina di tornasole che mostra quanto velocemente il sistema giudiziario sia stato compromesso e i diritti umani vengano violati, dal momento che i detenuti sono stati in carcere per tre anni dopo l’arresto, con la cauzione negata e condizioni molto restrittive. Jimmy Lai, accusato di sedizione e collusione con potenze straniere, è stato tenuto in isolamento in un carcere di massima sicurezza ed è stato portato in tribunale in catene, scene duramente criticate dalle organizzazioni per i diritti umani. Alcuni degli attivisti e dei politici in esilio sono ancora perseguitati; il governo ha assegnato taglie da un milione di dollari a cinque attivisti stranieri. I loro parenti a Hong Kong sono stati fermati per essere interrogati. Anche all’estero gli attivisti di Hong Kong subiscono vessazioni e un attivista, Finn Lau, ha quasi perso un occhio dopo essere stato picchiato nel Regno Unito in un attacco che, a suo avviso, era politicamente motivato».