Buio in sala

Perché Civil war è un film che non vi dovete perdere

di Fabio Ferzetti   22 aprile 2024

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Texas e California in rivolta, american way of life travolta da odio e violenza. Ma qui i veri cattivi sono i padroni dell’informazione. Per un film che merita di essere visto

Il titolo è una cannonata. Il film non è da meno. “Civil War”, guerra civile. Qui e ora, cioè negli Stati Uniti, centro e provincia del mondo in cui tutti ci rispecchiamo, ma mai (quasi mai) teatro di guerra. La parte per il tutto dove improvvisamente tutto è possibile, specialmente il peggio.

 

Texas e California, alleanza volutamente improbabile, si sono ribellati e non si sa perché. Il presidente, brutta faccia, prova discorsi ipocriti quanto inutili alla Casa Bianca. Intorno tutto è sfascio, morte, sopraffazione. Stadi, negozi, autogrill, parchi a tema: ogni simbolo dell’american way of life viene sfigurato e pervertito. Un film di zombie senza gli zombie (regista del bellissimo “Ex Machina”, l’inglese Alex Garland ha anche scritto “28 giorni dopo”) per guardare in faccia il presente. Che significa politica ma anche informazione, oggi che tutto è sempre più visibile e niente sembra più comprensibile.

 

Cosa è successo, perché il presidente è paragonato a Ceausescu, come mai in certe piccole città tutto procede come prima? Non si sa, non importa. Il centro del film forse è un altro, che poi è il cuore della vita cosiddetta civile: come elaboriamo, diffondiamo, consumiamo informazioni, oggi? Non è una domanda accademica, è il nucleo e il collante di ogni comunità, concetto in estinzione. Non a caso qui i quattro cavalieri dell’Apocalisse sono una grande fotografa chiamata Lee Smith in omaggio a Lee Miller (Kirsten Dunst); un giornalista tutto adrenalina (Wagner Moura); un vecchio e disilluso inviato del New York Times (Stephen McKinley Henderson). E una novellina con Leica al collo cresciuta nel mito della sua illustre collega (Cailee Spaeny, qui assai meglio che in “Priscilla”).

 

Uniti e divisi, testimoni e bersaglio, i quattro vanno da New York a Washington fotografando e non sempre schivando orrori multipli. Tra cecchini e fosse comuni in odore di pulizia etnica, la banalità dell’odio prende forme sempre diverse e mesmerizzanti. Memorabile, fra tante, l’apparizione di Jesse Plemons, occhialini rosa e fucile automatico, epitome del patriota da Capitol Hill. Ma il film è stato scritto prima dell’assalto e ogni sequenza, ogni provocazione, gronda di un’intelligenza spettacolare e insieme emotiva che è il marchio della casa produttrice, la gloriosa A24. Esaltato da una colonna sonora di rara potenza che esplora le anime musicali Usa, meritava di incendiare i grandi festival, invece esce quasi alla chetichella. Cautela, miopia, strategia? Come che sia, non perdetelo.

 

CIVIL WAR
di Alex Garland,
Usa, 109’

 

AZIONE!
Una notte per Sokurov. Dalle 2 alle 7 di sabato mattina su Fuori Orario, Raitre, per la giornata dedicatagli dall’Università di Bari, in presenza del regista. Oltre a “Fairytale” e “Elegia della vita”, in programma una lunga conversazione col grande regista russo a cura di Shumakova e Turigliatto. Un’occasione rara.

 

E STOP
Più di 2 milioni di spettatori, al 60% fra i 15 e i 34 anni, hanno visto un film in un festival nell’ultimo anno. Lo certifica una ricerca dell’Afic, associazione dei festival italiani. Di che rallegrarsi. Purtroppo però il 69% dei titoli presentati nei festival non arriva mai in sala o in tv. Da piangere.