Dialoghi
BigMama: «La libertà è sempre una questione di educazione. Quella che manca al nostro Paese»
La politica («Ho una gran paura: alle ultime elezioni ho pianto»). I diritti («La storia ci insegna che ce li possono togliere all'improvviso»). L'urgenza («Mi sono approcciata alla musica perché stavo morendo»). E poi un libro e il palco del Primo maggio. Marianna Mammone racconta come ha deciso di prendere in mano la sua vita. E non tacere mai
Ci sono storie di cadute e di rinascita, di discese ardite e di risalite, a varie velocità. E poi ci sono vite che ne racchiudono tante, tutte insieme, e se ne infischiano bellamente del numero di anni che scorrono, perché ogni attimo passato vale, come un mattone di un muro da abbattere. «Il fatto è che io ho già 24 anni», dice Marianna Mammone in arte BigMama, con quel suo accento irpino irresistibile, che le sfugge all’improvviso ogni volta che si sente comoda. «Ho già 24 anni e ne ho passate davvero tante, per questo posso dirmi di conoscermi abbastanza.
Ho imparato a gestire le cose terribili perché le ho vissute sulla mia pelle, una dopo l’altra. Però so anche come affrontare le cose bellissime, perché poi sono arrivate pure quelle». E sorride. Questa giovane donna portatrice sana di anomala saggezza e che ha imparato sulla sua pelle a brillare come i due piccoli orecchini che le luccicano sul naso, racchiude quello che è in un semplice «già». Non «solo 24», ma «già». Un onere che a questa età non si dovrebbe portare, una storia che non si dovrebbe avere. Bullizzata per il suo peso, stuprata, offesa, umiliata, una malattia, un ciclo di chemio, un taglio di capelli obbligato che peraltro sfoggia con sfrontata bellezza, a un certo punto ha capito chi fosse davvero. E da quel momento in poi il pedale dell’acceleratore si è spinto da solo.
Sanremo, un discorso all’Onu, la prossima conduzione del Primo Maggio, un libro da presentare al Salone e solo da febbraio a oggi, una volata che si fa fatica a pensare, figuriamoci a correrla.
«La mia giornata quanto dura? Parecchio. Direi che da gennaio a oggi ho vissuto un tempo che per un’altra persona potrebbero essere 10 anni». E sentirla parlare, con quell’accento irpino con cui condisce un italiano adulto, viene voglia di ascoltarla. «E meno male, è un tratto che mi piace proprio, non lo abbandonerei mai».
BigMama convive con un corpo giudicato non conforme da una visione ancora comune, quella che la costringeva da bambina a comprare gli abiti premaman o i vestiti da signora, perché quei pochi centimetri di stoffa venduti come taglie comuni si trasformavano in giudizio chiuso dentro a un camerino. Un destino comune a molte, a quelle ragazze cresciute tra pagliacci e Gabibbo, unico modello possibile da trasmettere nelle case di tutti. «Siamo ancora qui a combattere per delle cose ovvie, tipo a far accettare un corpo grasso. E non ci si rende conto che le persone grasse esistono da sempre, mica siamo proprio state inventate l’altro ieri. Eppure si crede ancora che essere magri sia un valore assoluto». È simpatica Mariana Mammone, rapper da ascoltare non solo quando si regala in musica.
«A diciotto anni ho fatto la mia valigetta rossa e sono scappata via dal mio paese». Ormai mi stavano stretti tutti, sia i luoghi che le persone. È divertente che io dica che mi sta stretto qualcosa però rende bene l’idea. Invece Milano mi ha fatto sentire subito libera. Credo che le persone siano felici quando vivono la loro vita senza avere paura e io quella sensazione l’ho provata lì. Quando hai dei sogni, delle ambizioni, a Milano ti rispondono “Ci sta”. A me invece puntualmente dicevano “Ma che ti sei messa in testa”, come se non fosse giusto prenderti quello che ti spetta».
Delle sue origini si porta dietro quell’ostinazione che l’ha convinta a non mollare mai. «Ho sempre sognato un riflettore sopra la testa che mi illuminasse. Quando ballavo, da piccolina, delle punte mi importava poco, quel che contava era stare in prima fila al saggio di danza davanti a tutte le altre. Poi quando ho capito che sapevo cantare ho realizzato che il mio riflettore era quello che dicevo, che potevo usare la scrittura per comunicare. E non ho più smesso».
Mentre parla BigMama, in una giornata di sole torinese del Lovers Film Festival dietro ai suoi occhiali neri («Te li presterei ma sono graduati, poi non vedo più niente») bisogna ripetersi sempre la sua età. Perché così si capisce la montagna che ha dovuto scalare. «Il mio primo pezzo l’ho scritto a tredici anni ed era una canzone sull’autolesionismo e sul suicidio. Sono cose che a quell’età non si dovrebbero neppure pensare. Ma ero letteralmente chiusa in una bolla di cattiveria. Io non ho iniziato ad approcciarmi alla musica perché volevo la fama. L’ho fatto semplicemente perché stavo morendo. Mi serviva una valvola di sfogo prima di scoppiare completamente». E oggi come torna nei luoghi in cui è nata e cresciuta? «Quando capito nel corso di Avellino e incrocio i ragazzini che mi hanno sempre bullizzato mi sento altissima. Non c’è nessuna vendetta migliore di questa, del far vedere che nonostante abbiano cercato di buttarmi a terra nei migliori anni della mia vita, non ho mai smesso di credere in me stessa. Hanno provato a distruggermi, ma perché erano persone piccole, che non sopportavano il fatto che potessi avere delle qualità, che fossi brava a scuola, che riuscissi a comunicare quello che avevo dentro perché li facesse sentire più miseri».
Ma era solo una ragazzina. «E non mi ha protetto nessuno, né la scuola né la mia famiglia. Anzi, le dirò che il bullo peggiore della mia vita è stato il mio professore delle medie, per lui umiliarmi davanti a tutta la classe era un divertimento e poi è lo stesso che oggi mi scrive su Facebook. Ma non gli ho mai risposto. E non lo perdonerò mai. Oggi posso capire la cattiveria dei ragazzi, magari vivono in famiglie violente, nell’insicurezza più totale, arrivano a scuola che sono arrabbiati col mondo e se la prendono con te. Ma tu che hai 50 anni e hai il bisogno di deridere una bambina, come faccio a perdonarti?»
E non c’è rabbia nelle sue parole, perché la rabbia non le basta, come ha cantato nell’ultimo Festival di Sanremo, che l’ha fatta scoppiare in lacrime dall’emozione. Quel che serve sono le risposte, per sé, ma soprattutto per chi l’ascolta: «Per cambiare le cose serve educazione, se vuoi crescere delle persone migliori devi cominciare dalla scuola. Chi è nella classe è il futuro, i bambini, i grandi di domani. Se tu insegni che determinate tematiche non le devi fare tue allora sì che cresci bene. La mia famiglia mi ha sempre insegnato l’educazione, se tratti male le persone quel male ti torna indietro. Penso che la mia vita ora sia felice perché sono una persona educata». Che bell’aggettivo, una parola antica. «È vero e mi dispiace perché lo ritengo alla base della vita. Al mondo non viviamo da soli, le interazioni corrette con gli altri sono la base per una crescita civile. Questo non è un Paese educato, se lo fosse ci ritroveremmo in questo momento con tanti problemi in meno. Anche il lasciare liberi gli altri è una questione di educazione».
I valori sono altri e BigMama lo sa bene. Non a caso studia, e ripete e ricomincia fino a che le cose non vengono come dice lei. «Non smetto di fare la gavetta, curo ogni passaggio di quello che faccio e non mi voglio permettere di fare passaggi azzardati. Studio tanto ma soprattutto mi studio». In attesa del Primo Maggio che è il prossimo passo imminente. Cosa ascolteremo da quel palco in un momento in cui la storia regala solo torbidi venti di guerra? «Non ho paura della censura, conosco bene gli autori e abbiamo idee molto simili. Niente spoiler, posso solo dire che devo parlare di un tema che non ho ancora affrontato e che ritengo giusto approcciare ora, ma non voglio essere fraintesa».
La parola per BigMama non si ferma mai. La cura, la custodisce come un tesoro, la diffonde come può. «Ho scritto un libro, ebbene sì, si intitola “Cento occhi”, come la mia canzone. Avevo l’esigenza di scrivere della mia vita, a partire dalla mia infanzia a cui sono legati gli eventi traumatici che non ho ancora superato. Ma non è una vera e propria autobiografia, mica sono Michael Jackson. È una raccolta di tutte le cose orribili che mi sono capitate e ho provato a trasformare questo cumulo di cattiveria in un’occasione di crescita. Quindi no, non so cosa sia veramente. Però so bene cosa vorrei che fosse: uno spunto per le persone che si trovano in difficoltà. Mi piacerebbe che leggendolo le persone si sentissero più libere di parlare dei loro problemi, meno costrette a nascondersi dietro le corazze che troppo spesso si indossano. Parlo anche del mio coming out, del fatto che in questo momento sono fidanzata con una ragazza e magari posso spingere qualcuno che vive nel silenzio a tirare fuori la sua voce».
Ma tutte queste parole è davvero il momento giusto per tirarle fuori? «Viviamo in un momento poco educato, lo ribadisco. Basti pensare a sette uomini che parlano di aborto in una trasmissione tv. Sulla politica cerco di non esprimermi ma dico solo che c’è un grande bisogno di libertà. Oggi sono fidanzata con una donna e se volessi avere una famiglia nessuno me lo dovrebbe negare. Ho molta paura dei passi indietro. La storia ci insegna che quando credi di aver conquistato un dritto te lo devi tenere con le unghie e con i denti perché te lo possono togliere da un momento all’altro. Guardi cosa sta succedendo negli Stati Uniti con l’aborto». Scusa se mi permetto Marianna, ma questo è un discorso che con la politica c’entra abbastanza non pensa? «Ma certo che lo è, io ci provo sempre a non entrare nel dettaglio ma poi mi scappa. Si deve lottare, fare informazione e soprattutto si deve studiare. I ragazzi di oggi saranno i politici di domani. E io oggi ho solo una gran paura. Quando ci sono state le ultime elezioni, sinceramente, ho pianto».