La polemica
Milano vieta il poster con la pistola di Maurizio Cattelan. Ma l'arte deve farci riflettere, non si censura
Il regolamento del Comune vieta l'esposizione dell'opera dell'artista italiano più noto nel mondo, nell'ambito della mostra diffusa della Fondazione Trussardi con 70 artisti. Il manifesto, molto duro, indigna ma impone anche un ragionamento
La Fondazione Trussardi da anni invade spazi pubblici milanesi permettendone una rilettura attraverso l’intervento di grandi artisti e citiamo, in ordine sparso, il gonfiabile di Jeremy Deller che riproduceva in scala 1:1 il sito archeologico di Stonehenge a CityLife, un albero di 8 metri e 6mila chili di Urs Fischer all’Istituto dei Ciechi, l’eterno loop di “Il cielo in una stanza” pensato da Ragnar Kjartansson per l’organo della Chiesa di San Carlo al Lazzaretto, l’esposizione di Diego Marcon al Teatro Gerolamo o quella di Nari Ward alla Piscina Romano e molto altro. Quest’anno la Fondazione ripropone un esperimento di vent’anni fa, quando aveva disseminato per Milano poster ideati da sedici artisti. Oggi sono diventati settanta e da alcuni giorni i più grandi nomi dell’arte italiana (o meglio, che opera in Italia) sono stati affissi tra pubblicità di ogni sorta e tipo in giro per Milano. La mostra è curata da Massimiliano Gioni, si intitola “I nuovi mostri” e si riferisce a quel film collettivo diretto da Monicelli, Risi e Scola che era una sorta di grande istantanea della società di mezzo secolo fa.
Però un occhio attento potrà notare che non sono 70 i manifesti, ma 68: l’ufficio affissioni ha vietato l’uscita di quello del giovane Giangiacomo Rossetti, che rievoca la Compagnia della Teppa applicandola ai canoni estetici delle baby gang. E poi quello del nome italiano più celebre a livello internazionale: Maurizio Cattelan. Un poster molto duro, con una pistola e uno slogan “Ribellati! L’unica prigione è la tua mente”. Cattelan contro la censura combatte da una vita, come quando due deputati polacchi cercarono di “liberare” la statua di Papa Giovanni Paolo II schiacciato da un meteorite esposta in un museo proprio nella patria di Wojtyła, oppure quando un tizio si arrampicò sull’albero di Piazza XXIV Maggio dal quale pendevano tre bambini impiccati per tirarli giù (a terra ci finì lui, facendosi anche parecchio male). E una storia tra il Comune di Milano e un manifesto di Cattelan censurato si è già vista, quando venne ritirato dalle strade il manifesto di una sua mostra che ritraeva Hitler inginocchiato: una delle opere più potenti della carriera di Cattelan. Sempre installata di spalle, vedere quella figura da lontano faceva pensare a un bambino in ginocchio (le dimensioni erano appositamente ridotte) e muoveva a compassione, salvo poi avvicinarsi e scoprire che per un secondo avevamo solidarizzato con il male in persona.
Questa volta però non c’entrano la politica o l’amministrazione, ma un regolamento comunale che si applica solamente alla pubblicità e che vieta “l’affissione di manifesti il cui contenuto appaia in contrasto con disposizioni di legge (ovviamente, ndr) o possa arrecare turbamento alla sensibilità pubblica”. D’altronde la cosa più interessante di questa mostra è proprio che utilizza gli impianti della pubblicità commerciale e in Italia pubblicizzare armi è illegale. Questo tipo di regolamentazione della pubblicità è però quella che ci ha portato ad avere un livello di spot e manifesti imbarazzante e retorico: perché la pubblicità non può essere usata per parlare dei problemi del mondo, per contribuire al dibattito e instaurare dubbi? Perché il cinema, la musica, la televisione, i libri possono trattare qualunque argomento e la pubblicità no? Chiunque capirebbe che usare l’immagine di un’arma è diverso dal pubblicizzarla.
Il messaggio di Cattelan da questo punto di vista sarebbe stato molto utile: è ovvio che non ci inviti a imbracciare le armi, anzi ci dice che l’unica prigione è la nostra mente e allora quella pistola appare incredibilmente più forte di qualunque immagine. Ci pone di fronte a un dubbio: perché quell’arma ci indigna, mentre ormai le immagini quotidiane di violenza e morte nel mondo non lo fanno più? Ogni giorno vediamo fotografie e video violentissimi, ma ci siamo abituati. Siamo assuefatti. Social e giornali e tv possono far vedere la guerra, mentre l’arte quando tenta di scippare alla banalità della comunicazione di massa il primato della riflessione, viene ancora fermata. Maurizio Cattelan con la pubblicità non c’entra nulla e finalmente si appropria del mezzo per metterci di fronte alle nostre contraddizioni e allora quel “daily infos” in cima al manifesto è ancora più forte e deve far riflettere anche noi che i giornali li leggiamo ogni giorno e facciamo una conta dei morti che non crea più alcun imbarazzo a nessuno. Perché una pistola, invece, sì?