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L'Isola dei famosi e l'incapacità di dire: basta reality

di Beatrice Dondi   13 maggio 2024

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Vladimir Luxuria, Isola dei famosi

Anziché lasciare questa strada ormai esausta ci si ostina a proporne la versione ripulita. Perché avere nuove idee non è roba da tutti

C'era una volta la televisione, quella che riusciva ad andare avanti senza reality show. Poi all’improvviso nacque il “Biscione che ci aspetta”, che tanto male ha regalato a questo Paese, e passò la linea per cui un pubblico inebetito dall’inferno al ribasso dentro il piccolo schermo potesse forse sopportare meglio l’inferno al rialzo della vita quotidiana. Ma con lo scorrere dei titoli e di conseguenza degli anni, la produzione compulsiva di programmi con le telecamere guardone è diventato una sorta di accanimento mascherato da piacere condiviso. E il fatto che un manipolo di persone sia stato rinchiuso 6 mesi e 24 giorni all’interno della casa del GF e dopo poche ore un manipolo corrispondente di finti famosi sia stato sbattuto sulla solita spiaggia potrebbe sembrare solo una cattiveria nuda e cruda. Invece, tutto torna

 

L’“Isola dei famosi”, edizione mille mila, è rispuntato con l’aggravante mascherata della ripulitura, niente trash, liti, concorrenti che si strappano i capelli, bip, bestemmie e maleparole, insomma uno stop generale al peggio di sé in favore di telecamera e come direbbe il buon Bennato, «Son d'accordo con voi, niente ladri e gendarmi, ma che razza di isola è? Niente odio né violenza, né soldati né armi, forse è proprio l'isola che non c'è». 

 

I concorrenti, sontuosi portatori sani di nulla, hanno fame, fanno il fuoco, sbucciano telline e incredibile a dirsi, sentono la mancanza della famiglia. Lo studio purificato dalle consuete baruffe punta sulla quota giornalista preso dal Tg (praticamente tutto una parola) che nello specifico è Dario Maltese, cintura nera di sorriso e poco più. E persino l’innata verve intelligente di Vladimir Luxuria sbiadisce come le incomprensibili giacche monacali in cui è ingabbiata (incomprensibile fino a un certo punto perché a pensare bene si fa spesso benissimo). In sintesi, la solita minestra ma col dado sgrassato. Ed è qui che viene a galla come la pastina il senso proprio della cattiva televisione: ovvero l’incapacità di dire basta. Perché dare un taglio all’orrore compulsivo senza riuscire a buttarsi su altro è solo una blanda carezza all’ipocrisia dilagante e soprattutto comporta il possesso di un piccolo bagaglio di quella buffa cosa ormai in disuso chiamata idea. 

 

Invece, su Canale 5, la rete che, come estremo gesto, è capace di riproporre niente meno che “La ruota della fortuna”, non ci si prova neppure, meglio seguire le futili vicissitudini di futili persone in un futile format il cui momento più avvincente sembra essere la scomparsa del cestino di un cameraman. Perché cambiare strada costa fatica, anche se il cammino è la seconda stella a destra.

 

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DA GUARDARE 
Si può dire con serenità che quei monelli della Gialappa’s, con varie complicità d’eccellenza, sono riusciti a riportare in televisione il gusto della risata cristallina. “Gialappashow” (Tv8 e Sky Uno) ovvero personaggi che funzionano, battute vere e una gigantesco Mago Forrest che non perde un colpo.

 

MA ANCHE NO
È passato qualche giorno dallo sciopero dei giornalisti Rai ma negli occhi restano ancora quei telegiornali miseri mandati in onda a tutti i costi, come crumiri d’altri tempi. Tanto delle proteste dei lavoratori importa poco in genere, dell’autonomia dell’informazione e della censura figuriamoci.