Profeta dei fashionisti globali, lo stilista ha conquistato tutti con un’estetica di pura eccentricità. Dagli eccessi in Gucci al silenzio; dalla direzione creativa di Valentino a un libro sul sacro delle forme col filosofo Emanuele Coccia, ascesa, caduta e rinascita di un idolo molto pagano

C'è l’ascesa, che forse è ascesi; la caduta, l’espiazione chissà, la resurrezione di sicuro. Nella storia di Alessandro Michele la biografia si intreccia alla mistica, la moda alla filosofia, lo stile all’iconografia, l’ammirazione all’idolatria. Al punto che lui ed Emanuele Coccia, filosofo e coautore di “La vita delle forme - Filosofia del reincanto”, nelle note al libro appena uscito non esitano a citare il Talmud e la Bibbia per raccontare del loro dialogo, mentre l’editore HarperCollins lo presenta come un testo che adotta “la postura e la forma grafica che un tempo era riservata ai libri sacri”. Anche meno, si vorrebbe suggerire: c’è gente che si massacra, nel mondo, per motivi religiosi o pseudo tali - un po’ di understatement farebbe a tutti un favore.

 

Ma il minimalismo non è nelle corde di Michele. Anzi: massimalista è l’aggettivo più usato per raccontare l’ex direttore creativo di Gucci appena nominato direttore creativo di Valentino. Massimalista la sua moda, 180 gradi secchi rispetto al minimalismo che per anni attraversò le passerelle milanesi - però lui è romano, “immaginario tra Praz e Renato Zero”, annotava icastico Michele Masneri in “Dinastie”. «Sono nato nella città dove c’è il papa, ma le vestigia del mondo pagano sono anche più forti», ha spiegato una volta di sé lo stilista: «Voglio rimanere pagano, se possibile».

 

Con i Måneskin al Los Angeles County Museum of Art

 

 

L’Ascesa. 
Per Gucci, però, fu l’uomo dei miracoli. Per otto anni. Nominato direttore creativo il 21 gennaio 2015, dà le dimissioni a novembre del 2022: durante quel periodo le vendite arrivano a sfiorare i 10 miliardi di euro all’anno, mentre il designer, barba e capelli alla Jesus Christ Superstar, diventa profeta dei fashionisti in tutto il mondo. Quell’esordio Michele lo racconta così, ne “La Vita delle Forme”: «Ho cominciato a immaginare non soltanto i vestiti, ma soprattutto la vita di chi li avrebbe indossati, le storie che intorno e attraverso quegli stessi vestiti si intrecciano. Non lavoro quasi mai pensando a un singolo abito: sono immediatamente immerso in una narrazione in cui sono coinvolti numerosi personaggi. È come scrivere la sceneggiatura di un film: progressivamente emergono i volti, le vite possibili, le atmosfere, e le relazioni che legano i personaggi tra loro». Le spia in strada e metropolitana, nei bar. Pensa a cosa indossano, dove stanno andando, cosa provano. Nasce così quel mondo in bilico tra passato e presente, la sua prima sfilata aperta da un ragazzo «dai capelli lunghi e i mughetti in testa, la camicetta rossa con la lavallière e i pantaloni neri». Attinge ai ricordi, riprende camicie viste da bambino sulla nonna o sulle insegnanti, usa capi da femminilità ordinata e borghese e li trasferisce su corpi maschili. «Contestualizzato in modo nuovo, svelato con una voce diversa, incrociato su corpi molto più giovani, quel passato si infuocava».

 

«La storia della moda è piena di esempi di indumenti che hanno affrancato uomini e donne, che hanno reso possibili gesti e vite altrimenti impensabili», sottolinea il filosofo Emanuele Coccia. Secondo cui, a partire dagli anni Ottanta, le scienze sociali hanno mostrato che le cose non sono schermi su cui proiettare rappresentazioni, ma «attori che prendono decisioni al nostro posto su questioni di varia natura». Cita Bruno Latour, per il quale una macchina che non parte prima che il conducente abbia allacciato le cinture di sicurezza prende decisioni morali al suo posto. Le cose darebbero forma alla moralità stessa, e per il filosofo lo stilista romano ha concepito la sua moda intorno a questo. I suoi abiti «sembrano voler immaginare forme inedite di felicità insieme personalissime, dolci e infinitamente condivisibili, capaci di passare da un corpo all’altro».

 

C’è anche la passione per l’opera e per il teatro, dietro gli anni di Michele da Gucci. Le sfilate sono coup de théâtre, colpi di scena perfino le cartelle stampa, che citavano Hannah Arendt, Giorgio Agamben e Roland Barthes: pochi le decifravano, tutti però si sentivano più intelligenti dopo averle scorse. Colpo di scena fu sedurre i giovani con gli abiti della nonna. Ma i vecchi merletti fanno coppia fissa con l’arsenico - che puntuale arrivò.

 

La caduta. 
Il nuovissimo divenne già visto. E Michele, si disse nel 2022, era in disaccordo con la strategia del gruppo del lusso Kering (che possiede Gucci), che voleva far lievitare ulteriormente le cifre guardando a un pubblico più largo. Di fatto, gli stilisti hanno un orologio biologico - e se non sentono loro il suo ticchettio di sicuro lo sentono gli altri: quel popolo della moda (dai manager ai giornalisti di settore) che prima ti fa dio, poi si stufa e si sbarazza di te. Sei “so last year”, superato. Dimenticabile, almeno per un po’.

Da gennaio 2023 Gucci ha un nuovo direttore creativo, Sabato De Sarno: collezione di debutto intitolata “Ancora”, non proprio un annuncio di novità. Del resto, «non volevo una rottura, volevo un’evoluzione», ha assicurato il presidente e Ceo di Kering, François-Henri Pinault. De Sarno, dal canto suo, ha precisato di non volere che il pubblico delle sue sfilate «dica “Wow!” e poi dimentichi tutto un attimo dopo». Stoccata, non troppo velata, al predecessore.

E però: passare dall’eccentricità assoluta al fascino discreto dell’heritage non è super eccitante. Come sedurre con questo i ricchi Millennial e Zeta che avevano fatto decollare le vendite del Gucci di prima? La collezione firmata De Sarno per ora è stata offerta soltanto in un numero limitato di negozi dalla metà di febbraio, ma l’andamento del marchio di punta Kering è peggiore delle attese, e le vendite nel primo trimestre mostrano un calo del 10 per cento su base annua. La transizione richiederà tempo, però i francesi hanno un piano da 14 miliardi di euro per Gucci: improbabile che si facciano prendere dal panico.

 

Con Harry Styles, al Meta Gala del 2019

 

 

La Resurrezione. 
“The Alessandro Resurrection”: così Lauren Sherman, una delle più informate giornaliste di moda, oggi reporter per “Puck”, prima a “The Business of Fashion”, ha descritto il nuovo capitolo di Alessandro Michele: la direzione creativa della maison Valentino, iconica come forse nessun’altra al mondo. Debutto il prossimo settembre, quando - a Parigi - mostrerà la sua prima collezione.

Anche in questa fase le vicende di Alessandro Michele sembrano intrecciarsi a quelle di Marco Bizzarri, l’uomo che lo volle direttore creativo di Gucci quando ne era presidente e Ceo. Entrambi usciti dal marchio fiorentino tra molte polemiche, ritornano oggi protagonisti eccellenti dell’industria del fashion: uno, come detto, al vertice creativo di Valentino; l’altro come “manager del lusso più desiderato del momento” (secondo il quotidiano specializzato Milano Finanza Fashion) perché, grazie alla sua capacità manageriale e alla visione strategica, fu capace all’epoca di moltiplicare il fatturato di Gucci da 3 a 10 miliardi, e oggi potrebbe spingere il brand di moda Elisabetta Franchi, di cui ha rilevato una quota e del cui CdA diventerà presidente, al miliardo dagli attuali 200 milioni, lavorando sul mercato cinese e su quello americano. Negli stessi giorni un altro brand, Golden Goose, ha voluto Marco Bizzarri nel board.

 

Dopo mesi di rumours in cui Michele è stato dato in arrivo da Bulgari, Fendi e Dior, ora sappiamo che va invece a prendere il posto di Pierpaolo Piccioli – uscito di scena a sorpresa dopo 25 anni nella griffe, grande talento di cui è facile prevedere che non resterà a lungo senza collocazione adeguata. Voglia di una svolta audace, per la maison romana di proprietà Mayhoola for Investments (ovvero la famiglia reale del Qatar), dopo tanta “quiet luxury”, il lusso rassicurante che ha imperato negli anni spaventati post Covid?

 

L’eccitazione, nel mondo fashion, è altissima. La posta in gioco è fare della Maison quello che a Michele era riuscito, con Bizzarri, in Gucci: una straordinaria macchina da denaro. Valentino, al momento, non lo è: il 22 aprile la casa ha rivelato che lo scorso anno il fatturato è sceso del 3 per cento a tassi di cambio costanti a 1,35 miliardi di euro, l’utile operativo del 18 per cento. Alessandro Michele potrebbe risvegliare la bellissima addormentata: sa scavare negli archivi, trovarvi pietre preziose dimenticate, renderle nuove ossessioni. Il Ceo Jacopo Venturini ha già detto che la reinterpretazione del patrimonio creato da Valentino Garavani «si tradurrà in oggetti irresistibilmente desiderabili».

 

La filosofia che lo ispirerà anche stavolta, Michele la dichiara in “La vita delle forme”: «Fare vestiti significa scrivere la sceneggiatura di vite possibili in cui possiamo entrare (e uscire) ogni giorno. Un abito non è uno spettacolo, è un portale: un corridoio che conduce il nostro corpo altrove».