Franco Di Mare è morto, a 68 anni, per un tumore aggressivo dovuto all'esposizione ad amianto.
L’ultimo servizio giornalistico l’aveva firmato con la sua faccia, l’ossigeno che l’aiutava a respirare, un filo di voce nella commozione diffusa di chi con gli occhi puntati sullo schermo seguiva le sue parole: «Tutta la Rai si è dileguata dopo la mia malattia».
Era il 28 aprile, una manciata di giorni fa quando collegato nello studio di "Che tempo che fa" sul Nove Di Mare aveva messo in fila i segni del suo sconcerto. Un giornalista che alla Rai aveva dato tutto, da quell'azienda si era messo in tasca solo un vergognoso silenzio. «Di tutti i dirigenti, non questi, ma anche quelli precedenti - aveva detto - Io chiedevo alla Rai di sapere l'elenco dei posti dove fossi stato per chiedere alle associazioni di categoria cosa potessi fare. Sono spariti tutti. Sono arrivato a capire che possano esistere ragioni di tipo legale e sindacale, ma quello che capisco meno è l'assenza sul piano legale e umano. Queste persone sono sparite, si sono negate al telefono, non rispondevano più a me che pure ero un dirigente. Una cosa per cui trovo un solo aggettivo: ripugnante».
Giornalista, conduttore, direttore di Rai Tre, Franco di Mare la morte l’aveva respirata nel Balcani come inviato di guerra, tra proiettili all’uranio impoverito, iper-veloci, iper-distruttivi, capaci di buttare giù un edificio.
Da Fazio, ospite proprio nel giorno in memoria dei lavoratori vittime dell'amianto, aveva presentato il suo libro: "Le parole per dirlo. La guerra fuori e dentro di noi'", dove intrecciava la sua storia di vita con l'esperienza del momento e la sua terribile malattia. «Ho avuto una vita bellissima e le memorie che ho sono piene di vita. Mi dispiace di scoprirlo adesso, ma non è troppo tardi il mio arbitro non ha fischiato ancora» aveva concluso tra gli applausi. E quel fragoroso tributo oggi rimbomba ancora più forte.