Un numero monografico del semestrale sulla cultura di Maghreb e Medio Oriente. E omaggi di magazine online in tutto il mondo. Per dare spazio agli scrittori che vivono o vengono da Gaza e dintorni. E a chi, come Hiba Abu Nada, è stato ucciso dalle bombe. Dalla newsletter de L'Espresso sulla galassia culturale araboislamica

Un racconto di fantascienza su “L’ultimo giorno del mondo” che parla di un meteorite ma ricorda un bombardamento. I siti in cui studiosi e curiosi possono rintracciare quello che resta degli archivi palestinesi “silenziati” da Israele. La performer che fa rivivere i canti di invocazione della pioggia dei sufi pellegrini verso Gerico. Sono solo alcuni esempi dell’omaggio alla cultura palestinese contenuto nel nuovo numero di Arabpop, la rivista semestrale di arte e letteratura del mondo arabo diretta da Christian Elia e curata da Chara Comito, Fernanda Fischione, Anna Gabai, Silvia Moresi e Olba Solombrino.

 

Sul numero precedente, uscito a pochi giorni dal massacro del 7 ottobre e dall’inizio dell’attacco di Israele a Gaza, una sovracoperta bianca nascondeva la copertina dedicata a un tema che sembrava fuori luogo – “Festa” – e l’omaggio alla Palestina era affidato al disegno di una piccola fetta d’anguria e a pochi versi di Mahmud Darwish che chiamavano in casa ogni lettore rispetto alla guerra: «Concedete tempo alla terra ed essa dirà la verità / tutta la verità su di voi / su di noi / su di noi / e su di voi!».

 

Questo numero invece è monografico, curato come “guest editor” dallo scrittore Mazen Maarouf (“Barzellette per miliziani”, Sellerio) e pieno di spunti per approfondimenti, dalla playlist da ascoltare su Spotify alle recensioni. Tra i libri segnalati, l’antologia “La terra più amata” delle edizioni Manifestolibri, “Case di sale” di Hala Alyan (Astarte) e “La traccia dei mutamenti” di Sayed Kashua (Neri Pozza), racconto simbolico di un palestinese di lingua ebraica che torna “a casa” dopo anni negli Stati Uniti e scopre di essere straniero ovunque. E “Pop Palestine” (Meltemi), viaggio nella cucina locale che Silvia Chiarantini (autrice insieme alla blogger Fidaa I A Abuhadiya) presenterà con Laura Silvia Battaglia sabato 25 maggio a Milano, al Laboratorio di antropologia del cibo.

 

L’omaggio alla Palestina della rivista italiana esce in contemporanea con il numero di Arablit sullo stesso tema. Da ottobre la rivista inglese specializzata in letteratura di lingua araba dedica quasi tutte le newsletter a voci palestinesi, soprattutto di poeti o di scrittori di racconti. Il nuovo numero della rivista cartacea, “Gaza! Gaza! Gaza!”, raccoglie racconti, articoli, poesie che testimoniano i quasi otto mesi di bombardamenti ma risalgono anche al passato (Salma Harland in "Naming Gaza” traccia la storia del nome fino alle radici nell’Antico Egitto) o guardano al futuro (“Gaza” di Hisham Bustani trasforma in fiction il dilemma di un uomo che deve prendere decisioni mentre intorno a lui tutto viene distrutto).

 

Intanto su The Point Magazine è iniziata una serie di interviste a scrittori e studiosi palestinesi. “Preserving Gaza” nasce per testimoniare aspetti della storia e della vita quotidiana nella Striscia di cui, dopo i bombardamenti, rischia di sparire anche il ricordo. Nella prima puntata, un’intervista di Ursula Lingsey ad Atef Alshaer,  professore di Arabic Studies alla University of Westminster, si legge un omaggio al valore della poesia mentre incombono morte e distruzione: «La poesia sembra registrare il momento presente, è la voce del presente, e le persone che scrivono dentro Gaza scrivono poesie d’addio perché ognuno di loro può essere un bersaglio. Nelle poesie che abbiamo letto finora tutti loro dicono le loro ultime parole in poesia, perché la poesia sopravvive».

 

Il gruppo Passages Through Genocide invece raccoglie e traduce «testi di autori palestinesi che raccontano il genocidio di Gaza». Molte le traduzioni in italiano, per esempio il diario di Hiba Abu Nada (nella foto di apertura), la poetessa uccisa in un bombardamento il 20 ottobre: il testo è tradotto in altre 11 lingue, anche catalano, indonesiano e swahili. «Se moriamo», scriveva Abu Nada mentre intorno a lei la distruzione avanzava e la lista dei suoi amici diventava «un elenco di bare», «parlate a nome nostro: c'erano persone qui che sognavano il viaggio, l'amore, la vita e altre cose».