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Umberto Orsini: «Sì lo ammetto, sono un fenomeno»

di Francesca De Sanctis   9 maggio 2024

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Un film in arrivo, un nuovo spettacolo. E una tournée che dura già da molti mesi. A 90 anni l’attore interpreta “Le memorie di Ivan Karamazov”. “Il segreto? Recitare correndo”

In una scenografia monumentale un corpo esile e scattante dalla voce inconfondibile recita, per 75 minuti circa, senza mai un piccolo cedimento, solo e privo di microfono, dando vita e identità a quell’Ivan de “I fratelli Karamazov” a lui tanto caro. Umberto Orsini, 90 anni appena compiuti, non ha perso energia, entusiasmo, amore per il suo mestiere. E il pubblico di tutta Italia lo premia sommergendolo di applausi, come se fosse una rockstar. Lo spettacolo, che gira già da un anno e mezzo, è prodotto dalla Compagnia Orsini, da lui stesso fondata 10 anni fa, e s’intitola “Le memorie di Ivan Karamazov”, dal romanzo di Fëdor M. Dostoevskij, con la regia di Luca Micheletti (ora a Napoli, Teatro Mercadante, fino al 5 maggio, e poi altre città tra cui Milano, Elfo Puccini, dal 14 al 19 maggio e Lugano, Lac, il 21 e il 22 maggio). Ma dopo l’estate Orsini tornerà in scena anche ne “I ragazzi irresistibili” di Neil Simon, con Franco Branciaroli e la regia di Massimo Popolizio (produzione Teatro degli Incamminati, Compagnia Orsini, Biondo di Palermo). E in autunno sarà nel film “Trifole” di Gabriele Fabbro, dove interpreta un nonno-cercatore di tartufi. Insomma, il ragazzo non si ferma mai.

E pensare che doveva diventare notaio. Ma una voce come la sua rende affascinante perfino la lettura di un semplice documento. E fu proprio così che tutto cominciò, con la lettura ad alta voce degli atti notarili, seducente a tal punto da convincere Orsini a cambiare strada. Lasciò la sua Novara, dunque, e si trasferì a Roma per seguire i corsi dell’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico. Da lì in poi ha lavorato con i più grandi registi italiani, da Luca Ronconi a Franco Zeffirelli, e al cinema con Luchino Visconti. Molti dei suoi ricordi sono contenuti nel bellissimo memoir “Sold out” (a cura di Paolo Di Paolo, Laterza).

Partiamo proprio da qui, Orsini, dalle sue memorie, in cui scrive: «Provo con una compagnia completamente diversa un testo di Henrik Ibsen, “Il costruttore Solness”, con la regia di Alessandro Serra. Sarà probabilmente uno degli ultimi spettacoli che interpreterò, perché recitare è faticoso e io concepisco il teatro come un gesto di grande energia». Da allora non mi pare si sia fermato: dove trova tutta questa energia?
«Nella continuità del mio lavoro. In qualche modo è una ruota che gira, finora non si è impennata, né si è bucata, e dunque continua a girare. Io mi sento bene, ma non voglio affrontare spettacoli complicati, preferisco stare nella mia comfort zone, lavorare con persone che stimo, con le quali posso condividere dei progetti. Ho avuto diverse offerte lavorative interessanti fuori dalla mia Compagnia, ma ho gentilmente declinato. Alla fine ho sempre un po’ deciso io, anche per quanto riguarda i testi, spesso scommettendo su quelli meno conosciuti, come è accaduto per “Copenaghen” di Michael Fryn, che poi ho portato al successo».

Per fare teatro ci vogliono anche buone gambe...
«Sì, è vero, e io sono sempre in viaggio. La Compagnia Orsini non ha una sede e questo complica un po’ le cose. Quando ero direttore del Teatro Eliseo, e lo sono stato per 18 anni, era più facile far girare gli spettacoli, ora sono un battitore libero, quindi è più difficile, ma sono felice di questa scelta. Mi metto a disposizione della Compagnia, primo fra tutti di Massimo Popolizio che considero il mio delfino. Con lui c’è una continuità di lavoro ben precisa. Abbiamo realizzato tanti spettacoli – io come produttore e lui come regista - e il prossimo anno debutterà “Ritorno a casa” di Harold Pinter. Amo molto lavorare in gruppo».

L’attore ne “Il diario di Anna Frank” (1957)

 

Lei debuttò proprio in un gruppo: la Compagnia dei Giovani. Era il 1957 e andava in scena “Il diario di Anna Frank” di Patroni Griffi. Allora aveva 22 anni, oggi qualcuno in più, eppure ancora riesce a trattenere l’attenzione del pubblico solo con la parola...
«In questo momento della mia vita so di essere un piccolo fenomeno, per via dell’età e della memoria. Ho visto molti grandi attori lasciarsi andare a fine carriera. Mi sono sempre chiesto: ma perché non essere propositivi nella drammaturgia? Con Vittorio Gassman, per esempio, ero molto amico, giocavamo insieme a tennis. Una volta mi disse: “Beato te che fai Bernhard”. “Ma tu dovresti farlo!”, gli dissi, lui che avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di andare oltre ciò che uno si aspetta. Poi ci sono attori intelligenti, come Paolo Stoppa, che hanno optato per il restyling. Ma io non cerco questo, non mi tingo i capelli».

Però si tiene in forma giocando a tennis, giusto?
«Quest’anno meno. Cammino molto però, il pomeriggio mi dedico alla lettura, guardo film, seguo le partite di tennis, che possono durare anche tre ore e mezzo, come uno spettacolo di Ronconi».

E per tenere la memoria allenata e migliorare la dizione usa sempre la stessa tecnica? Ripetere il testo stringendo una matita tra i denti e correre nel parco...
«Più o meno sì. Per quattro mesi, per esempio, ho recitato ne “I ragazzi irresistibili” in cui avevo una voce diversa dalla mia, molto acuta. Quando ho ripreso “Le memorie di Ivan Karamazov” ho dovuto allenarmi per una settimana, ripetendo la parte con velocità differenti di giorno in giorno, anche camminando, perché per me è importante avere fiato. Recitare correndo mi costringe a mettere sotto sforzo il diaframma, così sarà meno faticoso sul palco. Io mi diverto molto a recitare».

Dopo quel primo incontro in treno con Orson Welles, proprio mentre da ragazzo si trasferiva a Roma, ha avuto tanti maestri, da Ronconi a Visconti. Ma chi era il suo modello recitativo?
«Enrico Maria Salerno era il mio modello. Era un attore meraviglioso e sono stato felice di aver lavorato con lui. Poi, certo, l’insegnamento di Ronconi è stato fondamentale, e anche l’incontro con Visconti, che non mi ha mai corretto una volta».

Perché non ha mai pensato alla regia?
«Io ho bisogno di avere un dialogo con il regista. So correggere, più che inventare. Quando lavoro con i giovani registi – Pietro Babina, Alessandro Serra... - mi piace osservare il metodo. E amo  lavorare con loro perché mi piace andare oltre, fare quel gradino in avanti».

Una foto di scena dello spettacolo “Lo zoo di vetro”, con Umberto Orsini e Annamaria Guarnieri

 

Però ci sono anche personaggi che si porta dietro da tempo, come Ivan dei “Fratelli Karamazov”, che interpretò per la prima volta in tv - la regia era di Sandro Bolchi - nel 1969, catturando 15 milioni di spettatori. Fu proprio Pietro Babina poi a dirigerla ne “La leggenda del grande inquisitore” (2014) e ora ecco “Le memorie di Ivan Karamazov”. Come è cambiato col tempo questo personaggio?
«In effetti è una vecchia conoscenza... Un giorno a me e a Luca Micheletti è venuta l’idea di lavorarci in maniera un po’ distopica, come se fosse un personaggio che non ha avuto un finale, come di fatto è. Così oggi si ritrova in palcoscenico più anziano. Nel testo ho aggiunto degli umori contemporanei. Per esempio ad ottobre, quando ho ripreso lo spettacolo, proprio nei giorni dell’attacco di Hamas, le parole di Dostoevskij riferite ai bambini diventano quasi un fatto di cronaca. Ma non avevo cambiato le parole, ero solo un attore, presente, che con l’intonazione ha sottolineato qualcosa che permane in un testo classico. Io trovo che l’attore debba essere pensante».

Ha già scelto il prossimo testo da interpretare?
«Molto probabilmente sarà uno spettacolo che mi riguarda, che ha voluto Popolizio. L’idea era già nata quando uscì la mia autobiografia, “Sold out”. Sulla base di quel libro avevamo inventato una storia, di me in camerino che mentre aspettavo di fare “Il temporale” di Strindberg inizio a ricordare. Sono ricordi di un italiano degli anni Cinquanta: Novara, l’Accademia, l’incontro in treno con Orson Welles, i film, le canzonette. Mi sono convinto che forse vale la pena farlo questo spettacolo. Si chiamerà “Prima della tempesta” e sarà un vero e proprio omaggio al teatro».

Ma il suo compleanno alla fine lo ha festeggiato?
«Io non amo festeggiare. Sono andato in scena come sempre. Ricordo che molti anni fa ero in scena con “I Masnadieri” diretto da Gabriele Lavia; dopo gli applausi finali, senza che io lo sapessi, Lavia disse: “E oggi è anche il compleanno di Umberto Orsini!”. La gente cominciò ad applaudire ancora di più. Siccome avevamo capito che la cosa funzionava, andammo avanti almeno per una decina di repliche dicendo era il mio compleanno. Peccato che oggi, per via di Google, non si possa più barare sulle date».