Fotografia
Da Lady D a Madonna, i volti effimeri ed eterni di Mario Testino
Naomi Campbell, ma anche re Carlo III. Il fotografo di moda peruviano, l’ultimo ad aver immortalato la first lady morta nel 1997, ha realizzato ritratti in mezzo mondo. Ora in mostra a Roma
Una donna bionda fissa l’obiettivo con sguardo sensuale, elegante e mai volgare come l’unica cosa che indossa: un abito chiaro con strass che lascia intravedere la spalla. In un’altra, l’abito è nero e lei guarda altrove, ma sorride. È Lady Diana, immortalata dal suo fotografo e amico Mario Testino, l’ultimo ad averla fotografata poco prima che morisse nell’incidente al Pont de l’Alma di Parigi nel luglio del 1997, l’unico ad aver avuto il privilegio di passare diversi giorni con lei nell’intimità più riservata e blindata che può avere Kensington Palace – il posto in cui viveva a Londra – e farne diversi ritratti raccolti nel libro Diana Princess of Wales, da anni oggetto di culto. Quel servizio «ridefinì Lady D», titolò il Guardian, rilanciando così la sua immagine nel mondo e facendole abbandonare l’epiteto di “principessa triste” per trasformarla in una star (al pari o più di una del cinema) che aveva ritrovato finalmente la serenità. Purtroppo, durò troppo poco.
Quei due scatti, in grande formato, furono protagonisti di “Portraits”, fortunata mostra del fotografo peruviano alla National Portrait Gallery nel 2002. E da anni sono entrati nella collezione permanente del museo londinese insieme ad altri realizzati per attori, attrici, musicisti, regnanti. C’è anche l’attuale Re Carlo III in un pollaio, circondato da un gruppo di galline, e poco distante ci sono lo stilista John Galliano, Madonna, Naomi Campbell, Alexander McQueen e Kate Moss.
Più di venti anni dopo, parlando di Mario Testino, non si può dimenticare tutto questo e le tante cose geniali che ha fatto per quel mondo della moda che così come lo ha osannato - proprio come per Galliano - in un attimo ha cercato di cancellarlo dopo le accuse di molestie insieme al collega Bruce Weber. Il suo editore Condé Nast revocò ad entrambi i contratti non coinvolgendoli mai più, ma lui non si è perso d’animo.
«Dai propri errori ho imparato che si può solo andare avanti e provare ad essere una persona migliore possibile, ma nessuno è perfetto», dice, quando lo incontriamo a Roma. Siamo a Palazzo Bonaparte, poco distanti dal balconcino verde dove Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, osservava il via vai dalle feritoie della veranda tra piazza Venezia e via del Corso. Testino parla un italiano perfetto, la lingua imparata da suo padre, italianissimo, mentre sua madre era irlandese. In questi ultimi sette anni, ha deciso di lavorare senza mai fermarsi attraversando più di trenta Paesi per un progetto che in realtà è stata “una sfida”. Quella di un uomo, di un fotografo molto conosciuto che ha usato la sua arte per mostrare attraverso i viaggi e le introspezioni la natura intima di popoli diversi con tradizioni nascoste e attitudini riservate, facendo in modo che la fotografia stessa diventi un vero e proprio strumento di comprensione. Il risultato è “A Beautiful world”, una mostra curata dall’artista scrittore e designer Patrick Kinmonth e visitabile fino al 25 agosto prossimo. Prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Domus Artium Reserve e il supporto dell’Uzbekistan Art and Culture Development Foundation, è un affascinante giro del mondo in 30 Paesi e 70 scatti realizzati da un antropologo dell’estetica capace come pochi di usare elementi etnografici per farci comprendere ciò che accomuna e ciò che differenzia i diversi popoli.
Partiamo dal titolo che lei ha scelto per questa rassegna, “A Beautiful World”: il mondo è veramente così “meraviglioso” come dice lei?
«Oggi non sembrerebbe affatto bellissimo, ma io preferisco sempre vedere le cose dal loro lato più solare più che da quello oscuro. Siamo noi a costruirci la nostra vita, non solo il contrario. Possiamo fare del nostro meglio affinché il mondo sia migliore di quello che in effetti è, basta impegnarsi un po’.In questo mio lavoro sono andato a cercare le cose che mi piacevano di più, quelle meno conosciute e interessanti».
Un lavoro molto diverso da quelli fatti fino a qualche anno fa, incentrati principalmente nel mondo della moda e degli abiti.
«“Si, è vero. Pensi che quando ho iniziato a fare questo progetto, tutti mi chiedevano dove fosse la modella». (ride, ndr)
In queste sue nuove foto, comunque, i vestiti ci sono e sono principalmente gli abiti tradizionali dei popoli che ha incontrato, abiti che evidenziano un senso di appartenenza: il suo qual è?
«Mi sono posto spesso questa domanda. A tutti noi piace appartenere a un mondo, io io mi sono chiesto a quale appartenessi. Al mio Paese, il Perù, in cui sono nato e che ho poi lasciato perché sono andato a vivere in altri posti? Alla professione di fotografo di moda che ho fatto per tantissimo tempo e che ho poi lasciato? Trovo sempre interessante il discorso sull’appartenenza, ma stavolta come non mai, è la prima che mi vedo veramente come un fotografo. Lo ero, certo, ma assomigliavo più a uno stylist, perché mi piaceva controllare tutto quando fotografavo: il trucco, i capelli, il vestito, la lunghezza della gonna o l’altezza del tacco, la borsa eccetera. Ero ossessionato da tutto ciò. Con questo progetto, invece, mi sento di appartenere per la prima volta a una comunità di fotografi, perché per queste mie foto non ho cambiato o fatto nulla di speciale se non fotografare quelle persone come sono realmente».
Qual è stata la difficoltà più grande nel realizzarle?
«Sono un maniaco del controllo, mi piacciono le cose fatte bene. In questo caso è stato tutto molto difficile, perché sono posti molto lontani da raggiungere e il tempo e i soldi che si hanno a disposizione sono pochi. Bisogna essere molto veloci a raccogliere ciò che c’è e a vederlo in quel preciso momento».
Quello da lei rappresentato è un mondo moderno con una grande attenzione al passato. Per lei che importanza ha quest’ultimo?
«A volte dimentichiamo quanto sia importante. Appartengo ad una generazione che non poteva contare sull’informazione quotidiana né sui social. Oggi credo che le persone non siano interessate al passato, sono troppo preoccupate del quotidiano, figuriamoci se possono immaginare un futuro».
L’intelligenza artificiale, evocata di continuo, le fa paura?
«Per niente, la trovo geniale, la vedo come un nuovo aiuto, una maniera nuova per fare le cose se usata bene. Il mondo va avanti, di qui a poco ci sarà un’altra generazione che la penserà diversamente: si può solo accettare tutto questo prendendone e cercando di fare il meglio».
In un domani lontano, come le piacerebbe essere ricordato?
«Sono uno che pensa che quando la festa è finita è davvero finita. E ci sia poco da ricordare. Ma se proprio si deve, allora vorrei aver lasciato il mio contributo al mondo con grande positività».