Il costo dei biglietti per gli eventi live è sempre più alto e diventa esorbitante per colpa dei distributori. Gli artisti devono fare qualcosa prima che lo facciano i fan

Il territorio dei concerti sta diventando una specie di macchina spremidenaro dalle proporzioni imbarazzanti. Dalla crisi nera della pandemia che aveva messo in ginocchio l’industria della musica dal vivo, stiamo rapidamente passando, a livello mondiale, a una espansione fuori controllo dei prezzi dei biglietti dovuta ad alcuni meccanismi tipici del periodo: commissioni, secondary ticketing e altro, col risultato che concerti che partono già alti, finiscono per costare una fortuna.

 

Che il mercato si regoli così stupisce poco, evidentemente c’è una domanda che giustifica il comportamento. Stupisce casomai l’atteggiamento degli artisti da cui ci aspetterebbe un minimo di sensibilità sul problema. Neil Young ha protestato con forza per i messaggi che gli arrivavano dai fan arrabbiati per aver pagato un biglietto fino a mille euro, spiegando che quei soldi non vanno a lui, ma fa bene a protestare, ed è tra i pochi. Springsteen tace e anzi il suo manager, alle proteste dei fan che in America hanno visto arrivare i prezzi a cifre con tre zeri, ha risposto che sono in linea col dynamic pricing, altro diabolico meccanismo che equivale di fatto a mettere all’asta il biglietto, assegnato al miglior offerente.

 

Se è vero che questi soldi non vanno agli artisti non si capisce perché debbano accettare passivamente questa speculazione che danneggia la musica, esclude il pubblico con minore disponibilità economica, insomma realizza il paradosso esattamente contrario allo spirito della cultura pop: rendere elitario un prodotto di massa, ma solo dal punto di vista del consumo. La storia a volte sembra beffarda. Negli anni Settanta c’erano masse giovanili che andavano ai concerti e pretendevano di entrare gratis perché «la musica è di tutti» e la cosa creò non pochi dissesti. Ovviamente la musica non può e non deve essere gratuita, ma da lì a farla diventare una zona di speculazione senza pudore ce ne passa. La scusa più frequente è: «I dischi non si vendono più, quindi dobbiamo guadagnare dai concerti». Anche questo è assolutamente comprensibile, ma è sempre e solo una questione di proporzioni.

 

Ci vorrebbe almeno un poco di equilibrio, da parte di tutti gli attori della filiera della musica, a cominciare dagli artisti, gli unici che hanno in mano la possibilità di imporre la loro volontà, perché tutto dipende da loro e dal pubblico che, oltre certi limiti, dovrebbe rifiutarsi di cedere a richieste scandalose, anche a costo di perdere per una volta il concerto dell’idolo amato.

 

 

UP
Alla fine, sulla scia di altri grandi prima di lui, quello di Vasco si potrebbe definire un “never ending tour”. Prima di finire quello del 2024 ha annunciato le date dell’anno prossimo. Nel suo ripetersi anno dopo anno con la stessa partecipazione di pubblico, potremmo immaginarlo come un rito contemporaneo laico, anzi pagano.

 

& DOWN
A parte la bellezza della battuta «negli anni Settanta e Ottanta ho sniffato metà del Perù», Steve Tyler fa di tutto per sembrare il monello di sempre, si fa riprendere ai Grammy a baciarsi con una nuova fiamma e poi si gratta il naso, si esibisce dopo un incidente alle corde vocali e strilla come un’aquila. Quando si dice un cattivo maestro.