Una donna eritrea fa da interprete per chi sfrutta gli immigrati in Calabria. In un film sottile e rivelatore che mescola Shakespeare e cronaca

Se qualcuno ancora crede che il cinema di genere non intercetti la realtà, dia un’occhiata a questo bel film diretto da uno svedese di origini cilene ambientato tra i migranti sfruttati nei campi calabresi. Regista a dir poco eclettico di lavori spettacolari e diversissimi come gli hollywoodiani “Morbius” e “Life”, Espinosa rovescia infatti il vecchio schema vittime/carnefici per concentrarsi su un personaggio inedito: una eritrea giovane, bella, fiera, guardinga, sveglissima, che scende da un barcone proveniente dalla Libia ma con ogni evidenza ha poco da spartire con gli altri migranti. 

 

Anzi presto offre il suo aiuto agli italiani che li sfruttano con argomenti assai solidi: «Non è vero che sono pigri», spiega alla sorella del capobastone «hanno solo paura e sono mal informati. Assumetemi come interprete, parlo quattro lingue, di me si fidano. Lavoreranno sodo e guadagnerete il doppio. A me basta poco, voglio solo che mi aiutiate a ottenere i documenti...».

 

Su cosa posi il ragionamento di Almaz, che una connazionale chiama con disprezzo Madame Luna, conviene scoprirlo al cinema. Ma il tempismo e la spregiudicatezza della carismatica eritrea conquistano letteralmente la subdola Nunzia (Claudia Potenza, bravissima ad arricchire di sfumature inattese un ruolo che poteva essere puramente funzionale). 

 

Anche se l’attrazione proibita di Nunzia per Almaz resta appena accennata: una sottotrama destinata a irrobustire una storia di colpa e redenzione così classica che potrebbe uscire da un “noir” americano anni 40 se “Madame Luna”, scritto da Espinosa con il Maurizio Braucci di tanti film di Garrone, Di Costanzo, Giovannesi, Pietro Marcello, e con la palestinese Suha Arraf (“Il giardino di limoni”; “La sposa siriana”) non giocasse abilmente su due tavoli.

 

Di qua personaggi, sentimenti, conflitti che funzionano dai tempi di Shakespeare. Di là dettagli di prima mano, storie raccolte dalla bocca stessa dei protagonisti, inestricabilmente fuse in un insieme potenziato dal mix di attori professionisti e no (sembra incredibile che Meninet Abraha Teferi, cioè Almaz, scelta perché poliglotta e eritrea, non avesse mai recitato). 

 

E dalla sapienza con cui Espinosa, per una volta tutto “in sottrazione”, sfrutta cieli, nuvole, climi del Mezzogiorno per guardare al nostro Paese da un punto di vista eccentrico e rivelatore. Scoperto in anteprima al Festival di Taormina, esce meritoriamente solo in versione originale cioè plurilingue, come “Io Capitano” di Garrone. Ancora un film da vedere, che perde appena smalto solo nell’epilogo, confuso tra i saldi di fine stagione.

 

 

MADAME LUNA 
di Daniel Espinosa
Italia-Svezia, 111'