Cinema

Ecce bombo, il capolavoro di Nanni Moretti come non lo avete mai visto

di Mario Sesti   20 agosto 2024

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La pellicola cult sarà presentata in versione restaurata a Venezia. Recuperando i colori e le inquadrature originali

«Il Michele di “Ecce bombo” si distingue dal Michele degli “Indifferenti” soprattutto per un tratto: lui e i suoi coetanei sembrano non poter vivere che in gruppo; mentre il Michele del mio romanzo era sempre solo e in fondo attribuiva la propria disperazione al fatto di non potere condividerla con gli altri. Si sbagliava, a quanto pare; “Ecce bombo” dimostra che si può essere disperati in gruppo altrettanto e più che da soli»: così scriveva Alberto Moravia su L’Espresso, il 9 aprile del 1978.

 

Che cosa aveva di tanto speciale il film di un giovane autore attore di 25 anni, al suo primo film con una regolare produzione dopo aver esordito in un formato amatoriale e sperimentale (“Io sono un autarchico”), perché il più importante scrittore italiano del dopoguerra paragonasse il protagonista del suo romanzo più famoso a quello del film? A Venezia, c’è la possibilità di scoprirlo visto che, a distanza di più di 40 anni, il Centro Sperimentale di Cinematografia ha restaurato il film, partendo dalla copia in 16mm che fu gonfiata a 35mm. Sergio Bruno, che ha curato il restauro, ha lavorato fianco a fianco di Nanni Moretti per riportare non solo il fotogramma ai colori originali (sono l’aspetto più vistoso del deterioramento della pellicola) ma per riprodurre l’inquadratura nelle esatte dimensioni di quelle decise dal regista (che, all’epoca, erano state in parte modificate nel passaggio al 35 mm): insomma, “Ecce bombo” (ricordiamolo: il film prodotto in parte con il contributo dei soldi dello Stato che all’epoca incassò più di tutti gli altri film prodotti con lo stesso aiuto messi insieme), nella sezione Venezia Classici, introdotto dallo stesso regista, si vedrà come non si era mai visto.

 

«Moretti era un ragazzo di 25 anni, allora, e mostrava una capacità, da una parte, di ironizzare dall’interno il proprio mondo, dall’altra di sapersene distaccare guardandolo con inaudita lucidità dall’esterno», dice Riccardo Milani, che era adolescente quando vide il film e ricorda bene come l’ironia irresistibile e un po’ disperata di quel film arrivò nei cinema poco più di una settimana prima del rapimento di Moro. Nella stessa sezione si potranno scoprire anche le “inquadrature perfette” di Antonioni, come le chiama oggi Marco Bellocchio, con il film, sempre restaurato dal Centro Sperimentale, “La notte”, del 1961, con Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau e Monica Vitti. Per gli amanti della fotografia, un prodigio per gli occhi. Nella scena finale, il direttore della fotografia, Di Venanzo (forse il padre di tutti i più grandi operatori del dopoguerra), insieme al suo tecnico di fiducia Enzo Verzini (mago dei bagni di sviluppo: chiamato nei laboratori di allora il Piccolo Giotto), realizzano, in un finale che racconta la fine di una coppia, quella che Antonioni chiamava un’ “alba livida”, un gioco di bianchi, di neri e di grigi che conferisce al cielo un candore abbacinante e ai prati di una villa sterminata, una sorta di luminescenza misteriosa, come se improvvisamente i protagonisti scoprissero di essere atterrati su un pianeta muto, deserto e indifferente. Ai due film il Centro Sperimentale ha dedicato due quaderni/dossier scaricabili dal sito fondazionecsc.it .