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Chef Bartolini: "La via della semplicità porta alle stelle"
Dietro alla conquista dei "quattro cappelli" de Le Guide de L’Espresso, c'è una storia di fedeltà alle radici, di fiducia nei propri sogni. Ecco la filosofia che lo guida in cucina
La cucina non è solo una questione di tecnica: è un’arte che richiede sensibilità. È un gesto attento, capace di cogliere sfumature di gusto, acidità, equilibrio. «Una persona sensibile non ignora quando qualcosa si scompone», racconta Enrico Bartolini, chef del Ristorante Bartolini al Mudec di Milano, premiato con "quattro cappelli" da Le Guide de L’Espresso. La capacità di percepire l’armonia nei dettagli ha caratterizzato il suo percorso, trasformandolo in un simbolo dell’eccellenza culinaria italiana. Nato a Castelmartini, Pistoia, nel 1979, Bartolini ha sempre avuto una passione viscerale per la cucina. Dopo essersi formato nella scuola alberghiera, ha affinato il suo talento sotto la guida di grandi maestri, tra cui Paolo Petrini, Massimiliano Alajmo e Mark Page. Ma è stata l’esperienza internazionale in rinomate cucine europee a conferirgli la prospettiva necessaria per distinguersi. Al ritorno in Italia, il suo obiettivo era chiaro: valorizzare la sua terra attraverso ingredienti locali e una filosofia gastronomica innovativa. All’inizio del suo viaggio imprenditoriale, Bartolini ha vissuto sulla propria pelle la fragilità di chi si cimenta in un progetto ambizioso. «Quando il ristorante era aperto da poco, ogni errore comprometteva in qualche modo la nostra idea di successo. La paura era lì, sulle nostre spalle», racconta.
Eppure, è stata proprio quella tensione a spingerlo verso l’eccellenza, trasformando ogni giudizio, ogni feedback, in uno stimolo per migliorarsi. La sua cucina si distingue, infatti, per la capacità di combinare tradizione, equilibrio e creatività, restituendo nei suoi piatti l’essenza di un territorio e la forza di un’idea. L’approccio di Bartolini al fine dining è rigoroso. Tuttavia, l’elevata pressione può rappresentare un ostacolo per molti giovani chef. «Nel nostro settore dovremmo essere più sereni e sciolti», riflette lo chef, «ma il mercato oggi non lo permette». Un pensiero che sottolinea quanto sia fondamentale educare il pubblico, sensibilizzare i ministeri e riconoscere il valore del lavoro di chi, ogni giorno, contribuisce a mantenere alto il livello della ristorazione italiana. Oggi, Bartolini è alla guida di un gruppo che conta ben 14 stelle Michelin e 1 stella verde, distribuite tra i suoi ristoranti, un risultato che lo colloca ai vertici della gastronomia.
Non dimentica mai le sue radici. «Vorrei essere premiato perché sono rimasto qui, in Italia, a valorizzare gli ingredienti e la mia terra», confessa. È un pensiero che riflette la sua visione: non una cucina che cerca di stupire a tutti i costi, ma un’esperienza che celebra l’autenticità. «Mettere su il brodo era il momento più leggero della giornata», ricorda dei suoi primi passi, «perché poi si andava avanti ed era piuttosto complesso, non ci si fermava mai». È questa dedizione che consiglia ai giovani: essere curiosi, scoprire e non smettere mai di imparare. Bartolini non è solo uno chef. È un ambasciatore della cucina italiana nel mondo. Attraverso il suo lavoro, ci insegna che la sensibilità non è una debolezza, ma un punto di forza. E che dietro ogni grande piatto, c’è una storia fatta di passione, sacrificio e il desiderio di regalare un’esperienza unica a chi siede a tavola. Con i suoi ristoranti sparsi tra Lombardia (Milano e Bergamo), Venezia, il Monferrato, l’Emilia, la Toscana (Maremma e Chianti), Costiera Amalfitana e Sardegna, Bartolini continua a rappresentare l’eccellenza italiana, dimostrando che il successo non è solo il frutto di talento e tecnica, ma anche della capacità di credere in un sogno.