Festival
E Geppi Cucciari salvò la patria di Sanremo
Leggerezza, ironia e intelligenza. Carlo Conti fa un passo indietro. E si adegua al divertimento collettivo nella serata dei duetti
Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione. In due parole, Geppi Cucciari. Dopo tre serate strette in un’inutile cravatta, arriva lei e trasforma Sanremo 2025 in uno spettacolo. Dall’introduzione in bianco e nero in perfetto stile “Spendida cornice”, si adegua con agio alla fretta spasmodica che affligge questo festival («Te lo buco quell'orologio») e spara battute a raffica, con la stessa fatica che in genere si usa per respirare.
Un ciclone, che ribalta il gender, il politicamente corretto, il pubblico in sala col «braccialetto elettronico», l’istituzione canora («Il Volo dimostra che può cantare qualsiasi canzone e purtroppo lo fa»), l’insostenibile jingle, butta qua e là qualche frecciatina impensata sino a oggi, come se fosse Antani, con scappellamento ovviamente a destra. Ce n’è per tutti, anche per i dirigenti Rai che sono seduti in decima fila pronti a essere cambiati da un momento all’altro, cita Montaruli e mima il “bau bau” in Eurovisione, e riesce a spettinare persino Carlo Conti, confuso e felice, per un gioco a cui non era abituato. E finalmente la serata diventa un po’ anarchica, vola via con inusitata leggerezza, e a tratti si trasforma in poesia, con piano e voce di Topo Gigio e Lucio Corsi.
Mahmood sembra Clark Kent che quando non indossa la tuta gold, che si fa rossa per l’occasione, regala la stessa disinvoltura degli indimenticabili “figli di” presentatori nel 1989. Alcuni stonano, altri stonano troppo, sbagliano le loro stesse canzoni o tengono il broncio per una collana mancata. Poi ci sono quelli che svelano mondi nuovi pescando dall’antico e il pubblico si alza in piedi per i due monelli del rap, si commuove per le voci che dimostrano solo di aver sbagliato il pezzo in gara e tiene stretta la cristalleria perché dopo l’esibizione di Giorgia e Annalisa tutto va in pezzi persino il cuore.
Geppi tiene insieme tutto, improvvisa il giusto, sente il palco cosa sua e cuce metodica lo show, spostando quando è in scena il presentatore un passo indietro, quasi un valletto in abito da sera e di questo non sembra neppure dispiaciuto, d’altronde è sempre il suo Festival. Poi ogni tanto ci prova tirare fuori il Conti che è in lui, e incita il pubblico con “su le mani” ma dura poco, e riprende a giocare e forse chissà persino a divertirsi con quel pizzico d’orgoglio di chi ha avuto l’idea giusta. Perché alla fine è facile, basta avere i testi, gli autori e le idee. A parte questo non serve altro per costruire una serata che si meriti davvero gli ascolti che gli vengono tributati. E come direbbe Cucciari, «Grazie, grazielle e grazie al Carlo».