Ho visto cose
C'è posta per te, il racconto di un Paese immobile
Il programma di Maria De Filippi è un fenomeno imbattibile. Perché triste specchio di un mondo senza nessuna vocazione di evolversi
C'è solo un santo capace di proteggere viale Mazzini dalla tradizionale sconfitta del sabato sera e si chiama Remo, perché come insegnava Boris, per la settimana santa siamo il Paese delle musichette mentre fuori c’è la morte. Ma finita la pax televisiva in cui i palinsesti si congelano al ritmo di "Tutta l'Italia", ricomincia lo strapotere di “C’è posta per te” che riduce a zero le chance di riscossa.
Ogni anno di fronte alla lacrimevole corazzata De Filippi si sa che la partita è persa ben prima del fischio d’inizio. Ma per un motivo ben preciso che in fondo con la tv ha paradossalmente poco a che fare se non per il fatto che i panni sporchi si continuano a lavare solo davanti a quelle telecamere. In poche parole, si finge di correre, di alzare la testa, di guardare avanti ma poi bisogna arrendersi all’evidenza che in realtà il Paese è ancora quella roba lì, intercettata e tradotta in maniera simultanea dal programma di Canale 5, quello in cui ci si indigna per un tradimento, che imprigiona le madri in un ruolo da cui guai deragliare, che vede nel matrimonio l’unica realizzazione possibile. E non è escluso che tutti i pianti che inondano lo studio derivino proprio da questa amara consapevolezza, perché come cantava qualcuno, la verità ti fa male, lo sai.
Maria De Filippi propone da venticinque anni lo stesso programma e se venissero mandate le repliche degli anni Duemila in pochi coglierebbero uno straccio di differenza. Ma non è colpa sua, e non si può neppure dire che la disegnano così. Il fatto è che siamo ancora fermi immobili all’Italietta umida, fatta di piccinerie famigliari, corna scoperte per caso e indagate neanche fossero un giallo irrisolvibile, smanie di controllo, fidanzamenti adolescenziali, padri padroni, figlie dolenti e singhiozzi ancestrali che chiedono anzi invocano il perdono come unico unguento a tutte le ferite possibili.
Così alla regina Maria è bastato alzare lo sguardo su un mondo che gira intorno senza alcuna vocazione di evolversi, e raccontarlo in tutta la sua nefasta semplicità, rivolgendosi alla pancia che tanto la testa serve a poco.
Ed è per questo che mette in scena un microcosmo dove il postino si muove in bicicletta, la posta non è elettronica e il Paese diventa paese. Anzi rione, rinchiuso nella piazza di uno studio in cui l’unico bivio è davanti a una busta da aprire o da chiudere, mentre tutti gli altri dilemmi non meritano il peso dell’attenzione.
Così a Festival finito, milioni di persone torneranno a schiacciare il tasto cinque per riguardarsi ancora una volta, riconoscersi e vivere felici. D’altronde se il popolo chiede pane e lacrime, la brioche diventa solo una diavoleria moderna. E questo la queen l’ha capito assai bene.
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DA GUARDARE
La notevole miniserie "Apple Cider Vinegar" (Netflix) racconta una storia verissima, quella di Belle Gibson, fatta di menzogne, di cure fantomatiche promosse sui social, di beauty influencer, di inganni legati all’apparenza e di beneficenza fasulla e truffaldina. Quando si dice il tempismo diabolico.
MA ANCHE NO
Ilary Blasi condurrà prossimamente un reality game targato Mediaset in cui una serie di personaggi famosi e non, saranno costretti a una convivenza forzata e si dovranno eliminare per aggiudicarsi il montepremi. Si chiamerà “The couple” ma la tentazione di chiamarlo “Grande cugino” è stata valutata con attenzione.