Campo dei Fiori? «Quest’amico mio si è comprato un bar a Campo dei Fiori, 470 mila euro, che quando l’hanno preso incassava tremila euro e cinque al giorno». Gianicolo? Grand Hotel con ristorante e vista sul Cupolone di San Pietro. Centro storico? Il Caffè Chigi, lungo la via che unisce Montecitorio a piazza Colonna.
Ormai le inchieste antimafia su Roma assomigliano sempre più a una guida gastronomica: un lungo elenco di ristoranti, pizzerie, bar e tavole calde di ogni livello e di ogni quartiere. Non è una sorpresa: la metropoli è anche la capitale del riciclaggio, tanto che negli ultimi due anni e mezzo le Fiamme Gialle vi hanno sequestrato beni per un miliardo e 400 mila euro. E richiesto ulteriori provvedimenti per la stessa somma.
Metà delle 160 aziende confiscate nel Lazio sono bar, ristoranti, alberghi. Poi ci sono quelle sospette su cui gli investigatori hanno puntato i riflettori: almeno una trentina. Ma passare dai sospetti ai provvedimenti è sempre più difficile. I boss si sono evoluti e si affidano a imprenditori del settore: professionisti che curano nei particolari la gestione e l’arredo dei locali per farne posti conosciuti e frequentati. Un tempo c’erano i locali “di mala”: birrerie, pizzerie, pensioncine e night club in stile Tony Soprano, aperti solo per giustificare gli incassi del clan, spesso in vie defilate.
Adesso si lavora in franchising, riciclando i capitali mafiosi in imprese altamente competitive. La “Ristomafia Spa” della capitale soddisfa tutti i palati, è adatta a ogni portafoglio. La crisi che colpisce duro e - come denuncia Confesercenti - dall’inizio dell’anno a Roma ha fatto sparire 417 bar e ristoranti, per i cassieri dei clan invece è un’occasione d’oro. Comprano il marchio lasciando il vecchio gestore come testa di legno o inserendo un familiare fidato per schermare la proprietà. Allo shopping capitolino partecipano soprattutto ’ndrangheta e camorra. Ma non mancano reduci della banda della Magliana, imprenditori chiacchierati o indagati in storie di mafia o usura. «Dobbiamo recuperare un forte ritardo», ha ammesso il pubblico ministero Giuseppe Cascini durante un convegno pubblico,«perché è da una quindicina di anni che le mafie hanno cominciato a riciclare anche a Roma soprattutto nel settore terziario».
Confische e sequestri da Campo de' Fiori al Tuscolano
’O ROMANO IN CATENA
Il soprannome la dice lunga sulle sulle mire del personaggio: “’O Romano”. Edoardo Contini è un boss che ama profondamente la capitale, la frequentava fin da giovane. Il clan che porta il suo cognome è stato il perno dell’alleanza di Secondigliano, il cartello dei clan più temuti. Nel 2007, al momento del suo arresto Franco Roberti, oggi procuratore nazionale antimafia, disse: «Contini è la più grande mente criminale della camorra napoletana, un vero capo». Oggi gli investimenti del padrino continuano a fruttare grazie a prestanomi fidati a cui sono intestati diversi locali e un’intera catena di ristoranti. E “l’Espresso” ha anche verificato, che proprio nei dintorni di piazza Navona, un uomo legatissimo ai Contini gestisce un ristorante, pesce buono e pizza napoletana. Lontani i tempi di rapine e carcere, oggi è tutto tavoli e affari.
USURA, PIZZA E STORNELLI
Tra il Colosseo e la prima periferia ha costruito la sua rete di pizzerie e ristoranti. L’imprenditore Michele Marturano è l’inventore della formula anti crisi “Pala Family” offerta nei tredici punti vendita Mary Pizza: una pizza da un chilo e mezzo a forma di pala venduta a 13 euro. Si può gustare seduti ai tavoli o a casa. Una trovata vincente: in piena recessione ogni punto vendita sfornava almeno cento “Pizza Pala” al giorno. E da qualche tempo è partita la friggitoria di pesce. Con poco meno di 4 euro si può assaporare un cartoccio di paranza: calamari, pescetti, gamberi. Sul curriculum di Marturano però pesa un’accusa di usura nell’inchiesta “Pinocchio” del 2009. A quattro anni di distanza deve ancora iniziare il processo, dove sfileranno alcuni personaggi legati al clan Mancuso. Nel frattempo il gruppo si è consolidato. E ha stretto alleanze commerciali con importanti ristoratori romani. Alcuni di loro, come ha potuto verificare “l’Espresso”, sono in società con Flavio Romanini. Ossia l’imprenditore, che senza accorgersene, sfiora la ‘ndrangheta con un dito: prima ha ceduto il Caffè Chigi a due passi dal Parlamento a una società della famiglia calabrese degli Alvaro e qualche anno dopo ricompare nel Chigi come amministratore unico e socio di due donne, ritenute prestanome della ‘ndrina Gallico. Ma nel 2012 piovono i sequestri ordinati dai giudici che hanno requisito le quote della cosca calabrese, ma non quelle del ristoratore romano.

COMPARI DI COSCA
All’ora di pranzo era un luogo di ritrovo. Politici, giornalisti, professionisti. Ma anche turisti che si fermavano al caffè Chigi dopo aver visitato la Galleria Alberto Sordi e palazzo Montecitorio. Oggi il locale non esiste più. In via della Colonna Antonina 33, dietro quelle vetrate c’è un mucchio di cartacce, il caos dopo la tempesta scatenata dai sequestri per ‘ndrangheta. C’è un gemellaggio criminale che fa tremare l’economia sana: quello tra Gallico e Alvaro ha radici lontane. Questi ultimi hanno fatto da apripista «per gli investimenti dei Gallico nel settore della ristorazione, il più affetto da infiltrazioni ‘ndranghetiste», si legge nei rapporti investigativi della Dia. Decine di attività in mano a tre ‘ndrine: Alvaro, Gallico e Mancuso, che nonostante sequestri e confische continuano a investire nella movida romana.
ROMA ASPROMONTANA
Ai piedi di piazza di Spagna e di Trinità dei Monti dagli anni ’70 c’è il noto ristorante Alla Rampa. Lo chef, in una location tra il rustico e il ricercato, prepara pasta fatta in casa con sugo di pesce oppure dorate cotolette d’abbacchio. I prezzi medio alti non sono adatti a tutte le tasche. Cinque anni fa però il locale finisce sotto sequestro. È la prima volta che i sigilli vengono messi a un ristorante così conosciuto. Dal 2006 è di proprietà di Cesare Romano e dei cugini, e cognati, Giorgi. Imprenditori di successo, ma sospettati di essere vicini, oltre che parenti, al clan Pelle di San Luca. Loro vengono dal santuario della ’ndrangheta, hanno ristoranti in tutta Europa, ma giurano di essersi fatti da soli. E i giudici del tribunale di Roma gli credono. Per i Giorgi e Romano, dai documenti letti da “l’Espresso”, è stato comunque un affare: ai vecchi proprietari hanno versato la bellezza di 2 milioni e mezzo di euro, metà in cambiali e il resto con un bonifico da San Marino. Sono trascorsi più di tre anni dai sigilli Alla Rampa, ottenuta la revoca e il bollino di legalità, hanno allargato i loro interessi acquisendo la gestione nel 2012 della storica trattoria romana Pallotta in piazza Ponte Milvio. Dal 1820 luogo di ritrovo e di stornelli. E oggi affollato di vip. Pesce o pizza, con la ’nduia, per ricordare le origini.
’NDRINA BY NIGHT
Tra Campo de’ Fiori, piazza di Spagna e Nomentana c’è la Roma che non dorme. Prima l’aperitivo poi la cena, un drink e una passeggiata fino a tarda notte. Questo grande triangolo offre divertimento a volontà. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Tra questi c’è una catena di ristoranti e lounge bar che attira un gran numero di persone. Oggi gli investigatori sospettano che dietro il sucesso di quest’attività possa esserci la longa manus di Giuseppe Mancuso detto “’Mbrogghia” (l’imbroglione). Lui è il cugino del capo storico Pantaleone Mancuso, “U scarpuni”, considerato lo scissionista della grande famiglia cresciuta a suon di pallottole e tonnellate di coca. Ma inseguire il flusso dei soldi cash che finiscono nei piatti della Roma bene non è un’operazione semplice.
AMICI DEGLI AMICI
Ci sono poi ristoratori con amicizie importanti. Ai loro tavoli siedono vip. Nel locale di Gianni, detto Johnny, Micalusi per esempio sfilano ministri, cardinali, magistrati, parlamentari, attori e non solo. Il suo fiore all’occhiello è l’Assunta Madre, a pochi passi dalla sede della Direzione nazionale antimafia, in via Giulia. Il ristoratore dei vip ha però amicizie borderline: «So boni quelli nò so boni quelli nò». Era il 2002 e Micalusi non si informava di una partita di calamari, ma di assegni, parlandone al telefono con Enrico Terribile, «noto personaggio della Banda della Magliana». In quell’inchiesta fu assolto.
In zona Salaria, lontano dal centro storico e immersa nel verde, c’è la villa ristorante di MC, l’amico degli amici e dell’ex senatore Sergio De Gregorio. Qui alcuni candidati Pd hanno incontrato gli elettori durante l’ultima campagna elettorale per le comunali. Poco distante da Villa Ada, il ristorante sorge attorno all’antica Torre Salaria costruita sul mausoleo di Caio Mario. Soddisfa tutti i palati, dalla fugace pizza a primi e secondi per una cena completa. La cucina romana si sposa con originali portate. E così, raccontano le recensioni, si possono gustare i classici tonnarelli cacio e pepe, ma anche una carbonara al sapore di tartufo. E poi eventi e spettacoli nei 10 mila metri quadrati di parco. Il patron un mese fa è finito agli arresti domiciliari. Lo accusano di avere promesso, e non mantenuto, di intervenire in Cassazione per sistemare una sentenza: una manovra in favore di Nicola Femia, considerato uno dei nuovi re della ’ndrangheta al Nord.
IL CAFE' DE PARIS SENZA CLIENTI. E LO STATO RISCHIA DI FALLIRE
C'era una volta il Cafè de Paris, dove a pranzo si potevano incontrare diplomatici, politici, personale delle istituzioni. Dopo il sequestro e la confisca però l'afflusso di personalità si è azzerato. Nel 2008 l'ex sindaco di Roma, allora ministro delle politiche agricole, presenziò a un evento organizzato al Cafè de Paris da Giulio Lampada, imprenditore legato alla cosche lombarde e reggine, poi condannato a Milano. Quell'anno era ancora proprietà del clan Alvaro di Cosoleto. Poi è arrivato il sequestro. E il clamore mediatico ha allontanato i vip. Ma soprattutto le ambasciate, che organizzavano pranzi e cene, non frequentano più il locale della Dolce vita. Quel caffè, per molti, è ancora a marchio 'ndrangheta. E, invece, il simbolo della dolce vita, già smacchiato dalla magistratura, è oggi libero dal controllo mafioso. Ma i problemi per bar e ristoranti sottratti alle mafie non finiscono qui. Ci sono situazioni paradossali, come il Gran caffè Cellini e il bar “Clementi”. A “l’Espresso risulta che accanto agli amministratori incaricati dai giudici di gestire la società confiscata, continuano a lavorare parenti dei boss. Assunti regolarmente. E licenziarli potrebbe voler dire perdere la causa davanti al tribunale del Lavoro. Come, del resto, è già accaduto.
"PRESTO UNA BANCA DATI CONTRO I PASSAGGI SOCIETARI SOSPETTI". LA PROMESSA DELL'ASSESSORE AL COMMERCIO DEL COMUNE DI ROMA MARTA LEONORI
L'allarme lanciato due settimane fa da Sabrina Alfonsi, presidente del primo Municipio della capitale, è inquietante: «Il 70 per cento delle attività commerciali del centro storico è in mano alle mafie». Un dato che ha suscitato non poche polemiche. L'assessore al commercio di Roma capitale Marta Leonori spiega all'Espresso le misure che l'amministrazione ha intenzione di promuovere: “I municipi hanno firmato il protocollo di legalità con l'associazione daSud che prevede una serie di regole e controlli più serrati anche in materia di appalti pubblici. Un altro è stato sottoscritto con Libera. L'altro tema è quello dell'accesso al credito, gli sportelli antiusura sono solo sei, vorremmo potenziare la rete istituendone uno in ogni municipio».
Ma resta l'allarme lanciato sulla penetrazione dei clan nelle attività commerciali. Sul punto Leonori propone una ricetta: «Stiamo lavorando a un protocollo con Prefettura e Camera di commercio e Guardia di finanza per monitorare i cambi di attività ripetuti, subentri ripetuti in tempi ristretti, ripetute volture delle medesime licenze, e qundi mettere nella gestione dei notri data base delle spie, allarmi che verranno inviati alla prefettura. Un grande banca dati condivisa». A Roma un terzo dei beni confiscati sono inutilizzati, altri gestiti dallo stato hanno perso clienti e rischiano il crollo. «Bisogna realizzare progetti sui locali confiscati – conclude Leonori - vanno rilanciati. Dobbiamo allearci con chi vuole ripartire da luoghi simbolo per la lotta alla criminalità e dare un segnale alla comunità».